Home NotizieAttualità Dogana a “Maglie larghe”: la frode fiscale passa per il Titano

Dogana a “Maglie larghe”: la frode fiscale passa per il Titano

da Redazione

È stata denominata “Maglie larghe” l’operazione di Gdf e Dogana di Trieste che ha portato alla luce una maxi frode internazionale, del valore complessivo di 300 milioni di euro, nel settore dei tessuti. Coinvolta anche la Repubblica di San Marino.

È stata denominata “Maglie larghe” l’operazione congiunta della Guardia di Finanza e della Dogana di Trieste volta a sgominare una rete internazionale di fatture false, un’operazione che ha portato alla luce una maxi frode internazionale, del valore complessivo di 300 milioni di euro, nel settore dei tessuti.
Due persone sono state arrestate e 15 sono indagate; 14 società sono state sottoposte a sequestro preventivo, insieme a crediti Iva per 15 milioni di euro in Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Lazio, e un imprenditore mantovano e’ ricercato. Per la frode venivano utilizzate società, anche fantasma in Serbia, Ucraina, Bosnia, Croazia, Isole Marshall, Siria, Giordania e San Marino.

Gli arrestati sono E.R., 55 anni, funzionario della Dogana di Trieste e l’imprenditore di Monfalcone (Gorizia) R.S., 50 anni, il quale gestiva una società di trasporto del capoluogo giuliano utilizzata per le false cessioni all’estero. Risulta ricercato un secondo imprenditore di origini mantovane il quale amministrava di fatto di numerose società coinvolte, che gli investigatori ritengono una delle principali menti dell’organizzazione. In tutto, le persone indagate sono 15. Serbia, Ucraina, Bosnia, Croazia, Isole Marshall, Siria, Giordania e San Marino, appunti, sono i Paesi presso i quali venivano ubicate o controllate una fitta rete di società, anche fantasma, che erano utilizzate per gestire un’imponente evasione fiscale

IL MECCANISMO
Il sofisticato sistema di frode prevedeva l’utilizzo di quindici società nazionali ubicate tra Lombardia, Lazio, Friuli Venezia Giulia, che effettuavano fittizie operazioni infra-gruppo e poi numerose operazioni di false esportazioni, queste ultime per un totale di 150 milioni di euro. Il tutto movimentando tessuti e capi di abbigliamento al solo scopo di creare e monetizzare dei falsi crediti Iva (pari a trenta milioni di euro), in capo ad alcune aziende del sodalizio criminale. Altre società ubicate all’estero erano usate come paravento per dare copertura formale alle esportazioni. Le indagini, dirette dal pm Lucia Baldovin della Procura della Repubblica di Trieste, sono state condotte dal Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme Gialle e dal Servizio antifrode dell’Agenzia delle Dogane del capoluogo giuliano, e hanno permesso di ricostruire 287 operazioni di false cessioni all’estero di beni dichiaratamente destinati in Ucraina, Serbia e Bosnia-Erzegovina, attraverso le dogane italiane di Fernetti e S. Sabba, Padova e quella slovena di Obrezje.
Due le principali modalità fraudolente utilizzate: la prima prevedeva l’utilizzo di documentazione tributaria non veritiera da presentare agli uffici doganali nazionali per ottenere il rilascio dei previsti atti per l’esportazione. La seconda modalità prevedeva la vera e propria creazione di false bollette doganali sulle quali venivano apposti timbri falsi degli uffici finanziari per giustificare solo cartolarmente l’uscita della merce dal territorio comunitario. In alcuni casi la merce era rivenduta in nero in Italia, in altri la transazione era completamente fasulla. Il sistema illecito si chiudeva con la fatturazione diretta a società costituite nelle isole Marshall, in Siria e in Giordania, solamente allo scopo di rendere difficile la reale ricostruzione delle operazioni e l’identificazione dei responsabili della frode.
Gli indagati erano aiutati dal funzionario E.R., agli arresti domiciliari, che lavorava presso la dogana di Fernetti e che aveva il compito di agevolare le procedure per l’uscita delle merci, pur in assenza dei mezzi di trasporto indicati nelle bollette doganali. R.S è invece stato rinchiuso in carcere. Le fittizie esportazioni permettevano alle società coinvolte di godere dei benefici riconosciuti agli ”esportatori abituali”, che possono effettuare acquisti sul territorio nazionale senza pagare l’Iva, oppure possono utilizzare tale credito in compensazione o chiederne il rimborso. Ingegnosa l’architettura truffaldina scoperta, in quanto l’impiego di più strutture societarie nazionali per ”coprire” le artificiose esportazioni era giustificato dalla necessità degli indagati di ridurre i rischi di eventuali visite doganali che potevano essere disposte a seguito di accertamenti automatizzati.
Le indagini si sono avvalse di intercettazioni telefoniche, rogatorie all’estero, numerose perquisizioni, pedinamenti e appostamenti. In particolare, gli investigatori sono risaliti anche a una serie di falsi acquisti e vendite sul territorio nazionale, per altri 150 milioni di euro, effettuati tra le società del gruppo, che in alcuni casi avevano delle sedi fantasma anche a Roma ed erano amministrate da soggetti interposti (“teste di legno”), che venivano avvicendati di frequente. Lo scopo era quello di creare presso alcune aziende del sodalizio una posizione debitoria verso l’erario ai fini Iva e poi omettere i relativi versamenti. Nel corso dell’operazione, gli investigatori hanno proceduto al sequestro preventivo, disposto dal gip Guido Patriarchi, di quattordici società italiane coinvolte e dei crediti Iva a esse spettanti per un valore complessivo di circa quindici milioni di euro. Le ipotesi penali contestate a carico dei quindici indagati spaziano da quelle in materia di reati tributari quali l’omessa e l’infedele dichiarazione, al falso materiale e ideologico in atto pubblico, alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’uso abusivo di sigilli e strumenti veri.
 

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