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Editoriale: San Marino, Patrimoniale, un problema di metodo

da Redazione

Il coinvolgimento e il confronto con le parti sociali, anche questa volta, è stato quasi nullo.

 

di Alessandro Carli

 

Ancora una volta ci troviamo a puntare il dito sul metodo con cui il Governo ha affrontato la Patrimoniale, il cui Decreto, lo ricordiamo, verrà varato a fine mese (entro il 30 aprile, prevede la Legge) per poi essere portato a ratifica nella sessione di maggio del Consiglio. Il coinvolgimento e il confronto con le parti sociali, anche questa volta, è stato quasi nullo.

Salvo esigenze di bilancio, sarà un’imposta “straordinaria”: è stata annunciata per un solo anno e andrà a colpire anche gli immobili dei privati e, secondo il Segretario di Stato alle Finanze Simone Celli, dovrebbe far entrare nelle casse dello Stato circa 16 milioni di euro. Come abbiamo già detto, non siamo contrari per principio al provvedimento, purché venga fatto in parallelo alla spending review, che invece ancora latita.

Perché è giusto che i sacrifici li facciano tutti: a ognuno quindi la propria parte.

L’importo di 16 milioni può essere raggiunto anche recuperando economie dai tagli alla spesa pubblica e non solo attingendo dai cittadini.

Nella Patrimoniale 2018 è stata allargata la base imponibile e, grazie al “paracadute-franchigia”, non dovrebbe riguardare la prima casa (l’abbattimento è di 350 euro).

Ma rientrano sia gli immobili ubicati sul Titano che fuori: per le proprietà immobiliari detenute da persone fisiche fuori confine è stata fissata un’aliquota del 4 per mille rispetto al valore (catastale o, in assenza, di rogito o di mercato).

Tanti residenti nella Repubblica di San Marino già pagano l’IMU in Italia: è quindi legittimo farli

pagare due volte? Stesso discorso per i sammarinesi che possiedono una seconda casa, spesso fuori dai confini.

Senza poi dimenticare che mettere un’imposta sugli immobili in un periodo in cui l’edilizia è ancora in ginocchio, comporta di certo un freno delle vendite.

È stata poi fatta la scelta di tassare i valori mobiliari.

Il 5 per mille sulle attività finanziarie come depositi bancari e polizze assicurative detenute fuori dalla Repubblica di San Marino e per la raccolta indiretta, quindi gli investimenti che una persona fisica fa sui titoli, fondi comuni, eccetera.

Esclusa, invece, la raccolta diretta, quindi i certificati di deposito, i conti correnti e le obbligazioni.

Ma il punto che forse ci interessa maggiormente è quello che riguarda la tassazione del patrimonio netto delle società, il 6 per mille. Le imprese della Repubblica di San Marino, in particolare quelle associate ANIS (in maggioranza manifatturiere e di servizi), come abbiamo raccontato nel numero precedente, sono molto patrimonializzate. E quello che rappresenta un comportamento virtuoso, con la Patrimoniale risulta essere invece una scelta piuttosto penalizzante.

La diciamo un po’ alla Sebastiano Barisoni, il conduttore di “Focus Economia” di “Radio 24”, giusto per essere chiari e diretti: tu imprenditore vieni nella Repubblica per scelta fiscale e risparmi sulle doppie imposizioni e io Stato di San Marino ti tasso il patrimonio immobiliare sulla rendita catastale. Prima ti invito e poi ti faccio pagare il conto. C’è di certo una forte contraddizione.

Annunciata in Finanziaria, sulla Patrimoniale ci sarebbe voluto un vero confronto in fase di “definizione”. Ora che siamo a ridosso della sua approvazione, non ci sono margini di manovra. Piuttosto di ritassare quello che già si conosce, andrebbe fatta una fotografia di ciò che non è emerso. La metà delle imprese che operano sul territorio non versano imposte dirette e oltre la metà hanno zero dipendenti (e quindi non crea né reddito né gettito).

Pur non essendo contrari di principio alla Patrimoniale, solleviamo qualche perplessità sul metodo. E sulla destinazione finale del provvedimento: se serve per dare stabilità al Paese è un conto, se invece è stato messo in campo perché lo Stato ha bisogno di liquidità è un altro.

A tutti interessa sapere come vengono impiegati i sacrifici che devono fare.

I cittadini vogliono bene al loro Paese e sono disposti a fare la propria parte – assieme allo Stato, ovviamente, che deve darsi da fare per applicare la spending review – ma per un obiettivo chiaro e di prospettiva.

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