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Editoriale. Referendum: le ragioni di un “no”

da Redazione

Sul secondo quesito, che pretende di agganciare i salari al tasso d’inflazione anche in periodo di vacanza contrattuale (quando cioè i contratti sono scaduti e non ancora rinnovati) la nostra posizione è invece decisamente netta.

 

di Loris Pironi

 

I cittadini sammarinesi saranno chiamati alle urne per un appuntamento importante, un appuntamento referendario. Due sono i quesiti con cui cimentarsi nel segreto della cabina elettorale. Di uno si è detto molto negli ultimi mesi, pur senza fare chiarezza, e riguarda la marcia di avvicinamento della Repubblica di San Marino verso l’Unione Europea. Sul secondo invece finora è stato mantenuto un profilo molto basso, come se si intendesse far arrivare le persone a pronunciarsi senza aver prima approfondito la materia, che per inciso riguarda l’ambito contrattuale, ostico per natura.

Sul quesito europeista la posizione di Fixing è quella di chi non vuole imporre la propria opinione ma prova a aiutare i lettori a farsene una propria. E infatti da questa settimana iniziamo un percorso di avvicinamento al referendum mirato a sgomberare il campo da equivoci e luoghi comuni, nella convinzione che il referendum – a maggior ragione se vinceranno i sì, ma non solo – sia per il Titano una sorta di punto di partenza. Anche perché, piaccia oppure no, San Marino non può fare finta di non avere niente a che fare con l’UE.

Sul secondo quesito, che pretende di agganciare i salari al tasso d’inflazione anche in periodo di vacanza contrattuale (quando cioè i contratti sono scaduti e non ancora rinnovati) la nostra posizione è invece decisamente netta. Ed è un no secco a una proposta che non solo andrebbe a depotenziare il ruolo delle parti sociali, ma rischierebbe di avere conseguenze molto pesanti per il mondo
dell’impresa (e di conseguenza del lavoro) e che se vincessero i ‘sì’ andrebbe in direzione diametralmente opposta a quella indicata nella relazione della spending review.

Approfondiamo la questione. Il quesito, fondamentalmente, chiede se si vuole far sì che, quando il contratto è scaduto, si assegnino in automatico aumenti in busta paga pari all’inflazione. Una scelta “comoda”, almeno per i lavoratori, ma che produrrebbe conseguenze a nostro parere potenzialmente devastanti. Per capire meglio la materia si deve sapere che i rinnovi contrattuali prendono in esame due aspetti. Uno normativo, frutto di trattativa serrata tra le parti, che volta per volta deve mirare a rendere più competitive le imprese, commisurando le scelte ai diritti dei lavoratori. Il secondo è l’aspetto retributivo, che ha la funzione di porre in equilibrio il rinnovo. Immaginate una bilancia: questi sono i due piatti, che vanno posti in equilibrio. Un domani, se il sindacato non avrà più bisogno di ragionare sulla parte economica perché tanto gli aumenti sono già in cassaforte, la trattativa finirà per risultare completamente sbilanciata, con il rischio – più che altro la certezza – di demotivare entrambe le parti sedute al tavolo, e mandare a monte la ricerca della formula migliore nell’interesse delle imprese e dei lavoratori. Se vincessero i sì, ne siamo convinti, quando più si firmeranno a San Marino contratti con un barlume di lungimiranza? Si tenga poi conto che in certi casi (vedi l’attuale crisi) gli aumenti devono necessariamente poter anche essere “congelati” (come è accaduto nell’ultimo rinnovo per la PA); se così non fosse, sarebbero problemi. Se questo non potesse più avvenire, si porrebbe più di un problema pratico. Un quesito referendario come questo infatti rischia di portare a una situazione paradossale e non sostenibile, né dal pubblico, né dal privato, con potenziali ricadute negative sia in termini economici, sia sull’occupazione.

Nel caso delle imprese, tante in questi tempi di crisi sono in bilico sull’orlo della sopravvivenza: aumentare ulteriormente il costo del lavoro per alcune di esse potrebbe risultare la classica goccia che fa traboccare il vaso, costringendole a chiudere i battenti o a emigrare. Per il pubblico il discorso è quasi peggiore. Uno dei pochi punti di forza è che lo Stato ancora non è seriamente indebitato, per cui ogni aumento automatico delle retribuzioni porta in direzione diametralmente opposta all’obiettivo del pareggio di bilancio.

Ma noi andiamo oltre. Perché la formulazione più corretta del quesito dovrebbe essere la seguente: Volete voi lavoratori dipendenti, della PA o delle imprese, avere un po’ di più di soldi in busta paga a prescindere da quanto accade intorno a voi? Anteponendo l’interesse personale di breve termine potete rispondere di sì, certo. Poi però se la vostra azienda chiude, o se il Governo vi piazza in via permanente una patrimoniale anche più salata o chissà quale altro diavolo di tassa, sappiate bene che poi non vi potrete più lamentare.

Infine non possiamo dimenticare quando e perché questo quesito è stato lanciato. Si era in piena trattativa per il rinnovo del contratto industria, vacante da troppo tempo. Una parte del sindacato l’ha messo sul piatto per far pendere la bilancia dalla propria parte. Ma mentre il rinnovo poi è arrivato comunque, come prova di maturità da entrambe le parti, quella che forse nelle intenzioni doveva essere una provocazione rischia di trasformarsi in un boomerang, che rischia di ritorcersi non solo chi l’ha lanciato ma, ancor peggio, contro l’intero sistema. E se per caso ora i cittadini sammarinesi scegliessero l’uovo anche a costo di non mangiare più galline per decenni, chi ha lanciato questa idea potenzialmente così pericolosa se ne dovrà assumere la piena responsabilità.

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