Home FixingFixing San Marino, coro di no al referendum: “Altro che salva-stipendi”

San Marino, coro di no al referendum: “Altro che salva-stipendi”

da Redazione

ANIS si era già pronunciata. Adesso anche tutte le altre associazioni di categoria. “Quesito demagogico che rischia di penalizzare fortemente le imprese”.

 

Sul cosiddetto referendum “salva-stipendi” lanciato dalla Cdls, gli unici a pronunciarsi ufficialmente finora erano stati i vertici dell’Associazione Nazionale dell’Industria Sammarinese, che hanno posto un fermo “no” alla proposta che mira ad agganciare, in caso di vacanza contrattuale, le retribuzioni dei lavoratori dipendenti all’inflazione. I motivi della scelta di ANIS sono semplici, e li possiamo sintetizzare così. Per le imprese trasformare il costo del lavoro in una variabile indipendente dal contesto renderebbe quasi impossibile la sfida ai mercati. Per lo Stato aumentare il peso delle retribuzioni dei pubblici dipendenti andrebbe in direzione contraria alle indicazioni della spending review e porterebbe a nuove tasse o, peggio ancora, a tagli lineari. Per le associazioni di categoria e per il sindacato invece la vittoria del ‘sì’ andrebbe a svilire, e quasi ad annullare, il ruolo stesso delle parti sociali in fase di trattativa contrattuale.

Grande preoccupazione in tema di costo del lavoro già oggi si palesa anche nelle parole del Presidente di ABS, Pier Paolo Fabbri: col contratto scaduto e con le ristrutturazioni in atto, la vittoria dei ‘sì’ avrebbe effetti verosimilmente devastanti sul sistema ed è facile ipotizzare che finirebbe per risentirne anche la tenuta occupazionale, finora salvaguardata.

A questo punto San Marino Fixing ha sentito il parere delle altre associazioni di categoria. Ed è stato un vero e proprio coro di ‘no’.


Mirko Dolcini (presidente OSLA): “Noi crediamo che il referendum salva stipendi non sia una mossa corretta e soprattutto che non sia uno strumento utile alla collettività. Siamo quindi contrari all’incatenare gli aumenti salariali all’inflazione, anche se il nostro timore è che il quesito, alla fine, possa passare. Un’esperienza simile è già stata vissuta dall’Italia, tra gli anni Settanta e Ottanta. Il rischio è quello di ingenerare un aumento dell’inflazione. L’aumento degli stipendi può avere serie ripercussioni anche e soprattutto nel mondo delle aziende. Ma qui ci troviamo davanti a pura demagogia: il quesito infatti fa presa sugli elettori e sui lavoratori. Dovessero vincere i sì, si scatenerebbe un circolo poco virtuoso: verrebbe meno la possibilità di contrattare gli aumenti, che in questo momento storico non possono essere legati ad automatismi. Le imprese, piccole, medie e grandi, sono in forte crisi, e molte stanno chiudendo. E poi facendo crescere i salari in questo modo aumenterebbero anche il costi dei prodotti e quindi diminuirebbe la capacità di spesa. Ripeto, OSLA è per il no. Piuttosto, sarebbe opportuno mettere in campo una serie di agevolazioni fiscali per far arrivare sul Titano nuove imprese e nuovi imprenditori. Per rendere il sistema-Paese più attrattivo”.


Riccardo Vannucci (presidente USOT): “L’Unione Sammarinese Operatori del Turismo contratta gli aumenti con le associazioni sindacali ogni tre anni. Ogni altro tipo aumento, specie se legato alla crescita dell’inflazione nei periodi di vacanza contrattuale, mi sembra fuori luogo. I contratti e il potere contrattuale rappresentano uno strumento indispensabile per riuscire a dare competitività al Paese. La nostra posizione come USOT davanti al referendum del 20 ottobre, è quindi per il no deciso. Il nostro settore, come altri del resto, sta attraversando una fase di crisi profonda, e un aumento dei salari potrebbe creare molte difficoltà per le imprese del territorio. Il referendum – che trovo davvero demagogico: è chiaro che i lavoratori vorrebbero un aumento – mi sembra una scala mobile al contrario. In caso di vittoria dei sì, il costo del lavoro, per le imprese, arriverebbe a livelli esorbitanti. Trovo anche discutibile la scelta di affidare a un quesito referendario una decisione che di fatto passerebbe sopra la testa degli imprenditori: le aziende si ritroverebbero a subire, a livello di costi, una decisione che di fatto metterebbe in ulteriore difficoltà l’intero sistema”.    


Loretta Menicucci (presidente UNAS): “Anche noi artigiani siamo contrari a legare gli aumenti all’inflazione. La contrattazione è, in ogni realtà sociale, uno strumento fondamentale. Credo sia controproducente anche per gli stessi sindacati: togliere la possibilità di discutere e contrattare significa andare a minare lo stesso ruolo dei sindacati. L’automatismo poi temiamo possa rivelarsi disastroso per l’economia locale: il costo del lavoro crescerebbe mettendo in difficoltà le imprese, che già devono affrontare la crisi dei mercati. Il rischio è quello di attivare una scala mobile automatica, che creerebbe, secondo noi, anche ulteriore disoccupazione. Se l’azienda si trova sulle spalle costi elevati, per non fallire potrebbe essere costretta a licenziare. La nostra posizione è chiara: no a questo quesito”.


Carlo Lonfernini (presidente USC): “Non abbiamo ancora esaminato a fondo le possibili conseguenze del referendum salva stipendi: l’Unione Sammarinese dei Commercianti possiede già uno strumento sul contratto. E’ chiaro però che gli automatismi, quelli a cui i cittadini sono stati chiamati a votare, assieme all’adesione all’Europa, non piacciono a nessuno. La discussione contrattuale è da sempre una fase delicata e molto importante: crediamo non sia giusto imporre il riconoscimento dell’inflazione in maniera automatica. E’ solamente sedendosi attorno a un tavolo che si può iniziare una fase di discussione. Una contrattazione che sappia analizzare ogni settore, e trovi gli eventuali punti di accordo. Credo sia opportuno essere ragionevoli, e avere una visione chiara della realtà e del momento di crisi”.

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