Ascoltare il signor Primo Pazzini è come aprire un libro di storia della stampa, con la differenza che – a voce – l’evoluzione dei tempi assume fisionomia e accenti diversi, vivi. Colorati.
Di Alessandro Carli
“Questo mestiere (e chiamarlo semplicemente ‘mestiere’ è riduttivo, ndr) per quasi 500 anni non ha avuto grandi aggiornamenti: dal 1455, l’anno in cui Johan Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili, sino ai primi del Novecento, la procedura è stata pressoché la stessa, con l’unica differenza che – nel tempo – sono cambiati i materiali”. Il procedimento di stampa di Gutenberg infatti consisteva nell’allineare i singoli caratteri in modo da formare una pagina, che veniva cosparsa di inchiostro e pressata su un foglio di carta o di pergamena. L’innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri: fino ad allora le matrici di stampa venivano ricavate da un unico pezzo di legno, che poteva essere impiegato solo per stampare sempre la stessa pagina, finché non si rompeva la matrice, cosa che accadeva assai spesso. “La lega per i caratteri – continua – era composta da piombo – che ho utilizzato io stesso agli inizi dell’attività – perché era il materiale migliore: il più resistente alla pressione esercitata dalla stampa e il più malleabile per la fusione dopo l’utilizzo. In questo modo poteva essere impiegato per rimodellare altre lettere”. Mentre Primo ricorda, quasi involontariamente, con le mani, apre un cassetto e allinea, ma al rovescio, le lettere che compongono il suo nome. Con gesti veloci e precisi, quasi naturali. “La macchina utilizzata per la stampa – sottolinea, appoggiandosi ad un vecchio macchinario – era derivata dalle presse a vite usate per la produzione del vino: questo permetteva di applicare efficacemente e con pressione uniforme l’inchiostro sulla pagina”. Il rapidissimo successo non sarebbe spiegabile senza una pluralità di fattori: l’antecedente sviluppo, a partire dalla città italiana di Fabriano (che ha donato a Primo Pazzini un prestigioso riconoscimento, ndr), della produzione di carta da stracci che a differenza della pergamena e del papiro si prestava a essere stampata; lo sviluppo dell’economia urbana; la crescita della produzione e della domanda di libri conseguente allo sviluppo delle università a partire da Bologna, Parigi, Oxford e Cambridge. Un humus che si sviluppa, cresce. E che cattura l’attenzione di un giovanissimo Primo Pazzini che, con meticolosa cura, si appropria delle tecniche di stampa. “Le tecniche – annota il fondatore di Studiostampa – erano sostanzialmente due: la tipografia, ovvero la tecnologia per produrre testi stampati usando matrici composte di caratteri mobili e di cliché inchiostrati, e la litografia. Il principio è estremamente semplice: un particolare tipo di pietra, opportunamente levigata e quindi disegnata con una matita grassa, ha la peculiarità di trattenere nelle parti non disegnate un sottile velo d’acqua, che il segno grasso invece respinge. Passando l’inchiostro sulla pietra così trattata, esso è respinto dalle parti inumidite e trattenuto dalle parti grasse. Al torchio, perciò, il foglio di carta riceve solo l’inchiostro che si deposita sulle parti disegnate e non sulle altre. La stampa litografica si basa sull’incompatibilità di alcuni inchiostri con l’acqua”. Il cambio di passo, a metà degli Anni Settanta. “Nel 1974, a Bologna, ho visto la prima stampante offset. Era una ‘Nebiolo’ e l’ho acquistata per 44 milioni di vecchie lire. Sono stato il primo ad utilizzarla a San Marino. Quando l’ho presa, era tutta arrugginita”. La stampa offset si basa sullo stesso principio della litografia, infatti, anziché stampare il foglio a contatto diretto con la pietra o la lastra di zinco, la stampa avviene attraverso l’impiego di tre cilindri a contatto tra loro. Il primo cilindro porta avvolta la lastra, che viene bagnata dai rulli umidificatori e inchiostratori; il secondo di caucciù, riceve la stampa e la riporta sul foglio, fatto girare dal terzo cilindro (cilindro di pressione). Questo metodo è anche chiamato ‘stampa indiretta’. Esistono vari modelli di macchine per la stampa offset: quella cilindrica a foglio è la più diffusa e disponibile in diversi modelli in grado di stampare su diversi formati di carta, dal 35×50 centimetri al 140×200. L’inserimento del foglio in macchina avviene mediante una serie di aspiratori che, alzando il foglio lo staccano dai sottostanti, ponendolo su un piano di scorrimento. Su quest’ultimo, il foglio viene posizionato grazie ad una squadra per consentire poi alle pinze di agganciarlo, sempre nel medesimo punto. “L’operazione – prosegue Pazzini – serve per assicurare che la stampa avvenga, per tutti i fogli, ad una distanza costante ed univoca; il cosiddetto ‘registro’. Oggi il mercato – e le tecniche – hanno subìto l’arrivo della stampa digitale. Ma “l’offset è, ad oggi, ancora il miglior sistema di stampa – spiega Ettore Pazzini – anche perché permette numeri e qualità che il digitale non riesce ancora a creare”.
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