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Eurozona, precedente infausto: quello della vecchia Jugoslavia

da Redazione

Su San Marino Fixing numero 21 la rubrica Prima Nota di Paolo Brera analizza un parallelismo inquietante del passato con le attuali vicende dell’Eurozona: quelle della ex Jugoslavia. L’anarchia economica fu una delle concause nello smembramento dell’entità federale. E oggi come si può dare torto ai tedeschi se non vogliono dividere il frutto dei sacrifici fatti?

Non si può in coscienza dare torto ai tedeschi se non vogliono dividere il frutto dei grandi sacrifici che hanno fatto negli scorsi anni con chi i sacrifici non li ha fatti e scende in piazza per non farli. Ma di sicuro mancano di lungimiranza quando propongono un’Unione Europea dove a decidere sarebbero, nei fatti, solo loro. La costruzione europea ha bisogno di un decisivo passo avanti, ma questo non può certo consistere in un aumento del deficit democratico: dall’economia, infatti, il deficit non potrebbe non propagarsi anche alla politica e alla società.
C’è un precedente storico per le vicende dell’Eurozona di questi ultimi mesi. Ed è veramente infausto: si tratta infatti della vecchia Jugoslavia. Il Paese rappresentava il trionfo dell’anarchia economica, mascherata da autogestione (samoupravljenje). In realtà a decidere erano le varie articolazioni della Lega dei Comunisti, ma decidevano a livello locale (delle repubbliche federate e dei territori, entità dotate di quasi altrettanta autonomia). Un meccanismo di mercato distorto veicolava gli effetti delle decisioni in tutta l’economia. Il risultato era una costante eccedenza delle domanda sull’offerta, finanziata in parte dall’inflazione e in parte dall’indebitamento verso l’estero. Finché quest’ultimo non è entrato in crisi, l’economia in qualche modo tirava avanti. Quando i creditori esteri si sono fatti più esigenti (anche perché con l’intiepidirsi della Guerra Fredda la Jugoslavia era diventata meno importante per l’Occidente), il sistema è crollato. Nella fase “politica” della crisi, che ha alla fine condotto allo smembramento della Jugoslavia, una delle entità componenti, la Serbia, ha cercato di prevalere sulle altre, con poco successo.
Le somiglianze con la situazione dell’Unione cominciano con il sistema federale, applicato a governi e banche centrali delle repubbliche federate e dei territori autonomi. La Narodna Banka Jugoslavije era oscurata dalle banche delle repubbliche e dei territori autonomi, otto in tutto. I singoli governi erano di fatto liberi di spendere e spandere, le banche repubblicane tenevano loro bordone, e la Narodna Banka Jugoslavije e il governo federale erano di fatto impotenti. Una combinazione simile a questa la si vede anche nell’Eurozona. E anche qui, come in Jugoslavia, ne va di mezzo la moneta comune, che è una sola, ma sulla quale hanno potere troppi enti autonomi.
E infatti. La Grecia ha potuto espandere la spesa al di là di ogni ragionevolezza, coprendo per di più il suo comportamento con vere e proprie menzogne. Fino all’esplosione della bolla dei mutui subprime, finanziarsi non è stato un problema per Atene. Il Paese pagava per il denaro che riceveva un differenziale tutto sommato moderato rispetto al debito di migliore qualità che esistesse nell’Unione Europea, quello tedesco. Questo differenziale cresceva lentamente, ma non in misura disastrosa. Con la rivelazione delle clamorose bugie sui conti pubblici raccontate dal criminale governo di Néa Dhimokratia, sui mercati è esplosa la sfiducia, i premi di rischio sono schizzati all’insù e hanno messo nei guai anche il nuovo governo del Panellìnio Sosialistikó Kìnima.
L’evoluzione della crisi ha portato alla luce il grado di imprevidenza nella costruzione dell’Unione Europea, la rigidità dei governi e la mancanza di leadership del Paese più forte, la Germania. Come ha osservato l’economista belga Paul De Grauwe, l’Eurozona non aveva una squadra di pompieri e quando ha incominciato a parlarne, nel pieno di un devastante incendio, si è preoccupata più di punire chi aveva contravvenuto alle prescrizioni di sicurezza che di spegnere il fuoco. È stata sopra tutto la Germania ad assumere e mantenere per molto tempo questo atteggiamento dilatorio e meramente punitivo, imponendolo di fatto agli altri Paesi. Il risultato è stato il rapido divampare dell’incendio, che sta mettendo a rischio la moneta comune.
Le misure dei giorni scorsi sono velleitarie (la proibizione nella sola Germania delle vendite allo scoperto senza prestito di titoli non sortisce altro effetto che spostarle a Londra) e testimoniano una volta di più di una seria mancanza di leadership. Concordate a livello dell’Eurozona, e magari con l’accordo degli Stati Uniti, sarebbero state efficaci sia nel contenuto che nel messaggio. Come misure unilaterali, mostrano che la Germania non vuole trattare in alcun modo.
A chiudere il cerchio, ciò indebolisce le proposte che Berlino sembra stia per fare all’Unione Europea. Contenuto essenziale, secondo il quotidiano Handelsblatt, affidare alla Bce o a istituti indipendenti l’esame preliminare dei bilanci nazionali, togliendolo alle famigerate agenzie di rating anglosassoni. Come sanzioni per i Paesi che non rispettano gli obiettivi di riduzione del deficit, ci sarebbe la sospensione dei fondi strutturali e, nei casi più gravi, la sospensione del diritto di voto nelle istituzioni europee per «almeno un anno». Solo che si tratta di un trasferimento di sovranità ad enti non democraticamente eletti: la Banca centrale europea, il cui funzionamento manca di trasparenza e di accountability, e istituzioni comunitarie in cui la mancanza di voto di un Paese semplicemente porrebbe fine alla democrazia.

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