Home categorieCultura Visto per voi al Verucchio Festival 2020: “La ballata di John & Yoko”

Visto per voi al Verucchio Festival 2020: “La ballata di John & Yoko”

da Alessandro Carli

Il denso reading musicale scritto dal giornalista Enzo Guaitamacchi e che ha visto sul palco anche Brunella Boschetti, Omar Pedrini e Andrea Mirò è un viaggio straordinario nella vita “post Beatles” di Lennon.

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di Alessandro Carli

VERUCCHIO (RN) – Tappa “zero” o debutto, alla fine è solamente un discorso di scelta linguistica. Con La ballata di John & Yoko, domenica 26 luglio, difatti si sono sovrapposte la partenza (dello spettacolo) e la chiusura (del Verucchio Festival 2020): come a un crocevia, l’impatto è stato straordinario.

New York, dicembre 1980. Siamo a Manhattan, New York, più precisamente davanti al palazzo The Dakota. Un giovane aspetta. Il cielo annotta, è buio. Sono a poco passate le 22.50 quando li vede arrivare. Lo chiama e gli scarica addosso cinque colpi di pistola. “I was shot”. “Mi hanno sparato” sussurra mentre è a terra. Poi perde i sensi. “Hello, Goodbye”. Parte dalla fine – dalla morte di John Lennon – il denso reading musicale scritto dal giornalista Enzo Guaitamacchi (voce narrante e chitarre) e che vede sul palco anche Brunella Boschetti, Omar Pedrini (il chitarrista e leader dei Timoria nel ruolo di John) e Andrea Mirò (Yoko).

Nel disco John Lennon / Plastic Ono Band si incrociano i fasci di luce di due fari: Mother e God. La prima canzone – eseguita in maniera semplicemente meravigliosa e pieno di pathos da Omar Pedrini – parla del difficile rapporto con i genitori che si separarono quando John aveva due anni. Il padre, Alfred, lasciò la famiglia quando John era ancora un bambino; Julia, la madre, morì investita da un’automobile guidata un poliziotto ubriaco fuori servizio. Straziante il finale con la ripetizione del ritornello “Mama don’t go, Daddy come home”, cantato a ripetizione finche la voce si fa zebrata, surriscaldata, rassegnata.

God è musicalmente un brano lento, quasi maestoso nella sua progressione melodica ripetuta e circolare, mentre il testo è suddiviso in tre sezioni. Qui Andrea Mirò, al piano, regala un’interpretazione morbida e delicata per poi accogliere la doppia voce di Brunella quando parte il lungo elenco di idoli, di miti generazionali, in cui John non crede più: la Magia, la Bibbia, Hitler, Gesù, Kennedy, Buddha, Elvis, Dylan, Beatles. E si chiude sul suo presente: “I just believe in me, Yoko and me”. Il sogno è finito. Dream is over.

La voce di Enzo è la Lonely Planet di Liverpool, Londra e New York: parte dall’epilogo e poi, come un grimpeur, risale il tempo. sino al 1940, l’anno di nascita del “genio”. Nel 1966 l’incontro sconvolgente con Yoko, poi lo scioglimento dei Beatles (1970), i bed in, gli inni al pacifismo (Give peace a chance), il vertice assoluto del suo periodo vissuto da “scarafaggio” (I’m the walrus, eseguita da Andrea Mirò), le battaglie per gli ultimi, l’addio alla musica e il ritorno al pentagramma. E, in chiusura, ovviamente, The ballad of John & Yoko.

Un lavoro preciso e “per il pubblico” (spesso accade che gli artisti si autocelebrino: non è questo il caso): parole e musica che ben si amalgamano alle fotografie e ai video proiettati sullo schermo. E una continua ricerca di sguardi: non quelli ammiccanti rivolti alla platea ma quelli che Andrea, Brunella, Enzo e Omar si sono scambiati per un’ora e un quarto. Sguardi sorridenti. Come quelli di chi ha assistito alla “prima”. Il sogno non è finito. Il sogno continua.

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