Home Notizie del Giorno Visto per voi a teatro: “Filò, viaggio di uno Zanni all’inferno” di Castiglioni

Visto per voi a teatro: “Filò, viaggio di uno Zanni all’inferno” di Castiglioni

da Alessandro Carli

Gli ingredienti ci sono tutti. Ci sono ancora tutti, nonostante il tempo (lo spettacolo ha debuttato nel 2000 sul Po). Ingredienti propriamente detti, quindi quelli culinari – il risotto, la carne di maiale “conciata” e profumata di aglio e rosmarino – ma anche e soprattutto quelli drammaturgici, quelli dedicati al pubblico. Location desueta – Giorgia Boutique a Fiorina, San Marino – per la mise en scene di “Filò, viaggio di uno Zanni all’inferno”, meraviglioso “duo-assolo” di Silvio Castiglioni (accompagnato dalla fisarmonica di Beppe Chirico) rivisto, a distanza di 20 anni (Bassano del Grappa, 2004), domenica 14 aprile di pomeriggio. Lavoro “meraviglioso” per più di un motivo: la lucentezza del testo – che non ha nemmeno un granello di polvere addosso nonostante il quarto di secolo di vita – e la capacità di “abbattere” la “quarta parete” (la sensazione è quella di “toccare” con gli occhi l’attore) ma anche la pregevolezza filologica del recupero delle liriche cristalline di un autore, Andrea Zanzotto, che appartiene all’Olimpo novecentesco dei poeti vernacolari. 

La forza di questo monologo errante – gli spettatori viaggiano tra il Veneto, l’Argentina, la Commedia dell’Arte e la stalla (i filò erano una forma di veglia che i contadini, durante le lunghe serate invernali, facevano nelle stalle per ripararsi dal freddo) – è anche olfattiva e sensoriale: a mano a mano che la storia si srotola, un profumo arriccia il naso. È quello della preparazione del risotto al tastasàl, cotto lentamente e a lungo (c’è una sottile differenza), preparato da Paolo e Paola Castiglioni e servito ai presenti a fine spettacolo.

Silvio e Beppe entrano in scena dalla platea – dal terrazzo di Giorgia Boutique – vestendo i panni di Don Chisciotte (il primo) e Sancho Panza (il secondo): quello che accade nei successivi 70 minuti scarsi è un viaggio verticale nel mondo di Castiglioni che con enorme abilità mette in scena parte della sua vita: è lui lo Zanni del titolo, ovviamente, uno Zanni nato e cresciuto a Barabò, nella bassa veronese, che parte per il mondo. Il grande equilibrio tra i passaggi più dialettali – le telefonate alla mamma, nella lingua madre (dove la madre è la matria), preoccupata se il figlio ha mangiato, e l’elenco dei morti del paese, tragicomiche narrazioni che attingono o perlomeno sorridono a Luigi Meneghello – e quelli in italiano, utili a cucire e a dare più forza a quel “mondo del basso” amato da Leo de Berardinis.  

Uno Zanni che ci ricorda la bellezza della Commedia dell’Arte, quello stesso Zanni padre di Arlecchino, quello Zanni protoArlecchino che pensa a riempire la pancia (come Sancho) e che lo fa mangiando avidamente e sbrodolandosi con un’arancia, ma anche assaggiando tre baffi di ratto (di plastica), o una sua zampina. È lo Zanni/Castiglioni chiamato a intervenire ad una conferenza sulla Commedia dell’Arte in Argentina, a Buenos Aires, nel secolo scorso: in platea il pubblico scrive, scrive, scrive, ignaro che l’atto è provocazione, è metateatro. Inconsapevole di essere teatro.

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