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Visto per voi: i “Sei personaggi in cerca d’autore” di Michele Placido

da Redazione

Un melting pot vernacolare, quello rappresentato, una commistione tra il siciliano, il romanesco (un po’ gratuito e “televisivo”) e lo spagnolo di Madama Pace che ha il sopravvento sulla meta-storia del testo del Premio Nobel di Girgenti.

Placido 

 

CESENA – Sfida ardua, quella lanciata da Michele Placido ai “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello: un testo più drammaturgico che scenico (più da leggere che da vedere a teatro quindi), allestito spogliando la scenografia di ogni orpello per lasciare spazio al racconto del testo. Placido abbatte la quinta parete e il fondale portando il dramma all’interno di un teatro nudo: travi, americane, fili ed elementi propri del teatro Bonci di Cesena sono ben visibili per tutta la durata dello spettacolo (un’ora e 50 minuti di atto unico), e non spariscono mai.

Conscio del grande storico dei “Sei personaggi” – un testo su cui centinaia di attori si sono misurati, talvolta con risultati straordinari (“La Compagnia dei Giovani” di Valli e De Lullo) -, Placido punta più sull’indagine linguistica, sul tesoro della parola, lasciando in secondo piano la storia degli attori di una compagnia impegnati nelle prove de “Il gioco delle parti” e dell’incontro con il gruppo dei sei personaggi che cercano un autore che dia loro una forma di vita.

Un melting pot vernacolare, quello rappresentato, una commistione tra il siciliano, il romanesco (un po’ gratuito e “televisivo”) e lo spagnolo di Madama Pace che ha il sopravvento sulla meta-storia del testo del Premio Nobel di Girgenti.

Placido sceglie acutamente di defilarsi, ritagliandosi il ruolo del padre: ha movenze adatte allo spettacolo ma non è, vocalmente, un attore pirandialliano. Il ruolo della protagonista, la “figliastra”, è stato affidato a Dajana Roncioni, ben dentro la parte anche se – ma questa è una scelta registica – talvolta sfocia (o omaggia) nell’imitazione forzata della risata bellissima e devastante, isterica e indimenticabile di Rossella Falk.

Se l’intenzione di focalizzare lo studio scenico sull’impossibilità da parte degli attori di interpretare i personaggi in quanto i personaggi non si vedono in altre parti se non in quelle recitate da loro stessi (i personaggi affermano che gli attori non possono fare i personaggi nell’attimo esatto in cui gli attori vorrebbero essere personaggi senza poterlo fare), il risultato è stato raggiunto: la messa in scena difatti è più teatrale che drammaturgica e quindi estremamente fruibile da parte del pubblico. Per questo motivo la diatriba tra Pippo Pattavina (che ha rifiutato il ruolo del “padre”) e Michele Placido, il romanismo, il nudismo scenografico, la decisione di asciugare il testo in un atto unico, l’estremo gigionamento di alcuni personaggi e la morte “televisiva” dei due più piccoli (il figlio si rivoltella la testa dopo essere salito su una scala, la figlia affoga in una tinozza) sono, alla fine, peccati profondamente perdonabili.

 

Alessandro Carli

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