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Sopravvivenza bambini con anomalie cromosomiche: il 10% raggiunge i 10 anni

da Redazione

Buone notizie dal fronte delle malattie rare: una piccola ma sostanziale porzione di bambini con gravi anomalie cromosomiche possono sopravvivere per più di dieci anni. Lo rivela uno studio retrospettivo canadese su 174 bambini: la sopravvivenza a 10 anni è stata riscontrata nel 10% dei piccoli pazienti affetti da Trisomia 13 (anche nota come Sindrome di Patau) e da Trisomia 18 (Sindrome di Edwards), mentre un altro 20% ha mostrato una aspettativa di vita non superiore ad un anno di età. Poco meno di un quarto dei bambini con Trisomia 13, precisamente il 23,6%, e il 13% di quelli con Trisomia 18 viene sottoposto a procedure chirurgiche che mirano a migliorare la propria condizione.

I ricercatori del Sick Children Hospital di Toronto insieme a quelli dell’Istituto di Scienze Cliniche valutative (CIEM) hanno esaminato i registri di nascita dal 1991 al 2012 riscontrando prima di tutto che le nascite con questi difetti sono stabili dal punto di vista epidemiologico: 6 ogni 100mila nati vivi per la Trisomia 13 e 8.8 per la Trisomia 18.

Queste nuove evidenze sulla sopravvivenza sono più incoraggianti di quelle note sino ad oggi e suggeriscono che ogni paziente ha una storia unica e che queste patologie si presentano con un ampio spettro di condizioni che si rende fondamentale discutere con i genitori.

Le Trisomie 13 e 18 (insieme alla più nota sindrome di Down) sono anomalie cromosomiche che presentano difetti organici e ritardo mentale. Queste trisomie sono entrambe caratterizzate da un cromosoma soprannumerario rispetto alla norma. Si tratta di due condizioni molto gravi che spesso prevedono una sopravvivenza di pochi mesi. Tutte queste anomalie cromosomiche, anche chiamate ‘aneuploidie’ sono più frequenti all’aumentare dell’età materna. La metà dei bambini con queste condizioni muoiono entro i primi giorni o settimane di vita; tuttavia, una piccola percentuale sopravvive oltre.

“Il G-test, eseguito durante il primo trimestre di gestazione e in particolare a partire dalla 10ma settimana, è un test di screening che analizza la possibilità statistica che il feto sia affetto da una anomalia cromosomica ma non effettua una diagnosi di malattia. I risultati dei test di screening devono essere letti, interpretati e valutati dal ginecologo che consiglia l’opportunità di una indagine di conferma dei risultati e di un counseling genetico per la coppia. Sostanzialmente può indicare un segnale di allarme oppure rassicurare che il proprio figlio è a basso rischio di presentare una di queste condizioni” spiega il Prof. Giuseppe Novelli, Ordinario di Genetica Umana presso l’Ateneo di Tor Vergata.

La procedura per il prelievo del G-test è del tutto uguale a quella di un semplice prelievo venoso di sangue della madre. L’intera procedura non dura più di 5 minuti. Il campione prelevato viene poi preparato, confezionato con rigidi standard di sicurezza e inviato al laboratorio genetico perché sia analizzato.

Il G-test permette di confermare la diagnosi e risponde ad alcune esigenze come iniziare a pianificare la vita di un bambino con esigenze speciali, indirizzare precocemente cambiamenti nello stile di vita della famiglia, identificare aiuti e gruppi di supporto o prendere una decisione relativamente al portare a termine la gravidanza.

“Tornando allo studio canadese, dei 174 bambini affetti da T13 e i 254 dalla T18 ne sono stati trovati rispettivamente 13 e 16 che avevano spento la decima candelina. Ma l’osservazione ancora più interessante è stata che il 60% dei bambini con T18 che erano vivi a 6 mesi sopravvivevano sino a 10 anni, così come quelli con T13 che hanno presentato un modello di sopravvivenza analogo: il 50,5% di quelli che riuscivano a superare la boa dei sei mesi avevano di fronte a sé una vita più lunga” spiega il genetista.

Anche se i ricercatori mitigano i facili entusiasmi e spiegano di non sapere ancora a quanti di questi piccoli pazienti la chirurgia può offrire una maggiore speranza di vita. Il prossimo passo sarà investigare quali siano i fattori più importanti che incidono sulla prognosi.

“E’ fondamentale che le famiglie che ricevono risultati positivi agli screening genetici siano avviati ad un percorso di counseling genetico qualificato e multidisciplinare” continua il Prof. Novelli “il team infatti è in grado di dare informazioni sia sulla prosecuzione della gravidanza, sui rischi del parto, sulle opzioni terapeutiche e sulle prospettive di vita, anche organizzative, di un bambino con bisogni speciali. I test di screening neonatale permettono di prendere decisioni ponderate, consapevoli e affrontare la nascita col minimo dei rischi”.

 

c.s. Bioscience Institute

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