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Teatro, Luigi Lo Cascio: recensione dello spettacolo “Diceria dell’untore”

da Redazione

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I cartelloni della Romagna, talvolta, sanno regalare perle preziose, come la “Diceria dell’untore”, lo spettacolo diretto da Vincenzo Pirrotta e imperniato sulla superba interpretazione di Luigi Lo Cascio.

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di Alessandro Carli

 

BELLARIA (RN) – E’ sempre più difficile riconciliarsi con un certo tipo di teatro di parola: a la carte, spesso un lavoro verboso può sfociare nel reading (la morte del teatro e dell’attenzione del pubblico). Eppure i cartelloni della Romagna, talvolta, sanno regalare perle preziose, come la “Diceria dell’untore”, lo spettacolo diretto da Vincenzo Pirrotta e imperniato sulla superba interpretazione di Luigi Lo Cascio. Il testo drammaturgico, scritto da Gesualdo Bufalino e qui filtrato con eleganza da Pirrotta, è un viaggio in un atto unico di 100 minuti nel Novecento siciliano, quel mondo fatto di marionette, pupi e musiche tradizionali. Un viaggio che si compie – termine bellissimo – in una storia d’amore e di malattia: l’amore del protagonista per una ragazza rovinata dalla tubercolosi, mentre nel lazzareto di Rocca, alle porte di Palermo, il morbo infuria. All’interno di una scatola scenica di rara bellezza – due piani collegati da una scaletta – accade la parola: parola detta con dizione perfetta da Lo Cascio, parola cantata dei relitti malati della società, parola che diventa gesto e abbraccio, promessa di un bacio, danza funebre che rinasce per diventare vita. Vincenzo Pirrotta, che in scena recita il Gran Magro, possiede il dono della misura: l’alternanza della musica al verbo e al silenzio, l’avvenire di un corteo di pupi siciliani, una danza tribale di mummie bianche, che si muovono in maniera sincopata, e portano il pubblico verso un kursaal di anime dannate. Così l’abbraccio finale tra Luigi Lo Cascio e l’amata, posizionato su un altare pagano, diventa l’estremo sacrificio, il gesto della catarsi: il cuore smette di oscillare sul dondolo a corda per divenire contatto, promessa di una vita nuova, in quella Sicilia dilaniata dalla malattia, che sa ancora spingere lo sguardo oltre l’orizzonte del mare.

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