Home Dal giornale Bancari, richiesto il 36% tra arretrati e aumenti fino al 2027

Bancari, richiesto il 36% tra arretrati e aumenti fino al 2027

da Daniele Bartolucci

I dipendenti delle banche non mollano e hanno annunciato lo sciopero ad oltranza. Il punto di incontro tra le rappresentanze sindacali e ABS non si è ancora trovato e a leggere i comunicati delle due parti, non si troverà facilmente, tanta è la distanza tra richiesta e offerta. Il tema è noto, del resto: il contratto di settore è scaduto nel 2010 (per la parte economica nel 2009) e i sindacati rivendicano il recupero del potere d’acquisto (un 17% come arretrati dal 2010 al 2022) e una copertura dall’inflazione per il quinquennio in corso (un altro 19% dal 2023 al 2027). Percentuali che, se rapportate al monte salari del 2022 (quasi 29 milioni di euro) si tradurrebbero in oltre 10 milioni l’anno: una cifra difficilmente sostenibile per il sistema bancario, già messo a dura prova da un decennio di conti in rosso come dato aggregato, che solo nell’ultimo biennio è tornato in positivo. Eccezion fatta per BSI (la più giovane delle quattro banche attuali) che come noto ha bilanci floridi da sempre e i cui dipendenti infatti non hanno aderito allo sciopero.

Da una parte c’è dunque ABS, che ricorda i “tentativi negoziali, nessuno dei quali andati a buon fine” negli anni scorsi e le “significative sfide da affrontare, periodicamente richiamate anche dal Fondo Monetario e dalle agenzie di rating, non da ultimo il progressivo allineamento agli standard internazionali e l’accesso al mercato europeo”: la situazione del sistema finanziario non è ancora del tutto tranquilla, in pratica, ed è ben difficile ragionare su aumenti di questa portata dovendo ancora risolvere la questione NPL (le cartolarizzazioni sono appena partite) e al contempo garantirsi livelli di liquidità e patrimonializzazione adeguati. Inoltre, la “piattaforma rivendicativa presentata dalle Organizzazioni Sindacali, dal punto di vista economico chiede arretrati dal 2010 al 2022 per un 17% e aumenti retributivi per gli anni 2023-2027 per un 19%, oltre a modifiche di aspetti normativi ai quali si associano rilevanti ricadute in termini organizzativi ed economici. Quanto precede, nonostante le retribuzioni dei bancari sammarinesi siano ancora significativamente più alte di quelle dei colleghi italiani nonché dei dipendenti degli altri settori sammarinesi”.

Alla luce di queste considerazioni, i sindacati hanno subito rincarato la dose: “Stigmatizziamo il tentativo di ABS di raccontare la loro verità distorta, cercando maldestramente di isolare i lavoratori del settore bancario da quelli degli altri settori e cercando di far passare nell’opinione pubblica il messaggio che si tratta di una categoria privilegiata e strapagata”. I numeri, però, dicono che gli stipendi siano mediamente più alti, al netto, sia chiaro, di responsabilità diverse rispetto ad altri ambiti lavorativi (dai rischi professionali previsti dalle norme anti riciclaggio al principio della “rivalsa” che i dipendenti bancari potrebbero subire). Altro discorso sarebbe se fossero stipendi immeritati, ma nessuno – né tantomeno ABS – l’ha mai detto. Mentre sul merito pare siano proprio i sindacati a voler dare un giudizio preciso, ricordando ad ABS e ai vertici delle banche sammarinesi “gli innumerevoli consulenti di vario genere e provenienza, le stellari parcelle di noti studi professionali e la triste sequela di direttori generali che si sono succeduti nell’ultimo decennio tra le varie banche, con un indecente balletto di nomine accompagnato – ad ogni giro di valzer – da stipendi esorbitanti, liquidazioni stellari e strette di mano: in questi casi, come in molti altri, la sobrietà e l’attenzione ai costi che viene puntualmente richiamata da ABS non ci sembra sia stata messa in pratica”.

Poi c’è il tema dei calcoli di quelle percentuali, che secondo i sindacati sono giusti, visto che “le richieste sono state formulate tenendo conto – solo parzialmente – della perdita del potere di acquisto degli stipendi che si è accumulata dal 2010 al 2022 e considera una rivalutazione che possa tutelare le retribuzioni per gli anni dal 2023 al 2027”. Sintomatico, a questo punto, che a portare avanti la trattativa, siano proprio le Federazioni Servizi di CSdL, CDLS, USL, le stesse che solo pochi mesi addietro, sul rinnovo del contratto Servizi – ma il discorso vale anche per quello del Commercio – scaduto nel 2017, avendo rinunciato completamente a qualsiasi arretrato dal 2018 al 2021, hanno siglato un aumento complessivo del 6% tra il 2018 e il 2024. Per non parlare del recentissimo contratto del settore Pubblico, che come quello delle banche era scaduto da oltre dieci anni. Volendo fare un paragone (quello che i sindacati recriminano ad ANIS, che invece si dimostra coerente nell’approccio ai vari rinnovi contrattuali), sono oggettivamente cifre ben diverse da quelle richieste dagli stessi sindacati per i bancari. I quali, ovviamente e al pari di tutti gli altri, hanno diritto al rinnovo contrattuale, con l’auspicio che si riesca a trovare una sintesi equilibrata nel prossimo round negoziale già fissato a partire dal 22 febbraio, ma che forse inizierà prima, visti gli innumerevoli disagi creati dagli scioperi di questi giorni.

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