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I pensionati hanno ormai superato quota 11mila

da Daniele Bartolucci

Il sistema pensionistico sammarinese, nonostante la recente riforma entrata in vigore a inizio 2023, continua preoccupare e non poco i lavoratori e le istituzioni preposte. Le motivazioni sono le stesse che hanno portato all’elaborazione dell’ultima riforma, solo in parte affievolite dagli interventi messi in campo ed ora di nuovo enfatizzate dall’ulteriore calo delle nascite registrato nel 2023. Solo 191 nuovi nati (a fronte di ben 279 decessi), a cui sono corrisposti ben 536 nuovi pensionamenti solo nel periodo gennaio-settembre (l’ultimo dato rilevato dalla Relazione Economica e Statistica abbinata alla Legge di Bilancio). Sono, invero, 45 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma comunque un numero sproporzionato alle nascite per quanto riguarda la prospettiva generazionale, e che, già oggi, non migliora sostanzialmente il rapporto con gli occupati (ovvero coloro che versano i contributi per pagare le pensioni), nonostante nell’ultimo triennio l’occupazione sia cresciuta parecchio.

“I sistemi di welfare europei”, spiegano gli esperti dell’UPECEDS nella suddetta Relazione, “stanno sperimentando negli ultimi decenni situazioni di squilibrio, dovute sia alle trasformazioni del mercato del lavoro, sia alla mutata dinamica demografica della popolazione. Tali trasformazioni si riflettono primariamente sulla spesa pubblica dei singoli stati ma anche sulle condizioni di vita dei lavoratori e delle famiglie. San Marino sta vivendo una situazione analoga, con un progressivo invecchiamento della popolazione, un aumento della speranza di vita ed un calo delle nascite che non permette di controbilanciare adeguatamente la struttura demografica della popolazione. L’equilibrio del sistema previdenziale assume una rilevanza maggiore rispetto al passato, in quanto il sistema a ripartizione che governa la previdenza sammarinese paga pensioni per un periodo mediamente più lungo”.

SISTEMA INSOSTENIBILE: LO SQUILIBRIO IN CIFRE

“I dati della gestione del sistema pensionistico ordinario mostrano come negli ultimi cinque anni siano aumentati sia la spesa che il numero delle pensioni ordinarie erogate. L’ammontare complessivo delle pensioni ordinarie nell’anno 2022 è pari a 206.365.431 euro, con un incremento del +5,84 rispetto all’anno precedente. Il numero di pensioni ordinarie è passato da 9.447 del 2018 a 10.875 del 2022 (+15,1%). La pensione media ha subito un incremento del +2,34% nell’ultimo anno, nel 2022 ogni pensionato ha percepito in media 18.976 euro”. Il confronto sul decennio (vedi tabella in alto) è ancora più emblematico: nel 2013 le pensioni ordinarie erano 7.892 (quasi 3mila in meno di adesso) per una spesa complessiva di poco più di 134 milioni di euro (72 milioni in meno all’anno), e la pensione media era di circa 17mila euro. Da qui la situazione deficitaria dei fondi pensione del primo pilastro, a cui si è messo mano aumentando le aliquote contributive l’anno scorso (l’1% nel 2023, l’1% nel 2024 e l’1% nel 2025, equamente diviso tra datori di lavoro e lavoratori: vedi tabella in basso).

L’altro indice che evidenzia lo squilibrio del sistema è il rapporto tra numero di occupati e pensionati, che nel 2022 è stato pari a 2,10, valore analogo a quello dell’anno precedente. Analizzando l’andamento di tale rapporto nell’ultimo decennio, scrivono gli esperti, “tale valore è diminuito costantemente fino al 2020 per tornare a salire nel 2021 e mantenersi costante nel 2022. Essendo la struttura demografica della popolazione sostanzialmente rigida, l’inversione di tendenza dell’indicatore è dovuta all’incremento dell’occupazione che si sta verificando dopo la crisi pandemica”. Come detto, non è disponibile il dato finale del 2023 per quanto riguarda i pensionati, ma già con il numero di settembre (al netto dei decessi, ovviamente) si può ipotizzare che non sia migliorato il rapporto. Allo stesso modo non è andata meglio al bilancio dei fondi: “Il fondo dei lavoratori subordinati, quello in cui confluisce la maggior parte dei contributi, ha chiuso nel 2022 con un saldo negativo pari a -20.829.644 euro, in aumento rispetto all’anno precedente di ulteriori 0,5 milioni di euro, sebbene le entrate siano aumentate del +7% rispetto al 2021” e comunque “la gestione ordinaria ha registrato saldi negativi per tutti i fondi, tranne per quelli di liberi professionisti e imprenditori. I fondi dei commerciati e degli artigiani chiudono l’anno con un deficit rispettivamente di 5,8 e 4,7 milioni di euro”.

IL MONITO DEL FMI: “SERVE UN’ALTRA RIFORMA”

Se “tra le misure importanti vi sono l’ampliamento della base imponibile, l’introduzione dell’IVA e il miglioramento dell’efficienza della spesa pubblica, rafforzando la gestione delle finanze pubbliche e indirizzando meglio i programmi sociali”, i membri della Missione del FMI nel loro ultimo report “hanno sottolineato che sono necessarie ulteriori riforme per garantire la sostenibilità a lungo termine del sistema pensionistico”. Questo perché, si legge nel report, “la riforma delle pensioni (del 2022, ndr) fornisce un alleggerimento fiscale a medio termine, ma le sfide demografiche a lungo termine persistono e richiederanno una riforma parametrica complementare. La riforma approvata lo scorso anno riduce il deficit pensionistico e il conseguente esaurimento degli asset dei fondi pensione nel prossimo decennio, aumentando i tassi di contribuzione e aumentando marginalmente l’età effettiva di pensionamento e il legame tra prestazioni e contributi. Tuttavia, la sostenibilità del sistema pensionistico dopo il 2035 richiederà una riforma parametrica complementare incentrata sull’affrontare le sfide di spesa dovute all’invecchiamento, alle prestazioni generose e alle basse penalizzazioni per il pensionamento anticipato”. In sintesi, “a causa delle tendenze demografiche negative, nei prossimi dieci anni sarà necessaria una riforma complementare che affronti il problema delle prestazioni generose e delle basse penalizzazioni per il pensionamento anticipato”, perché, secondo le stime del FMI, “si prevede che il deficit pensionistico sammarinese aumenterà a livelli insostenibili fino all’inizio degli anni 2040. Secondo le proiezioni, il deficit del sistema pensionistico sammarinese sarà maggiore rispetto a quello dei Paesi di quest’area”.

IN AGENDA: FONDISS E INVESTIMENTI

Oltre al sistema previdenziale del primo pilastro), con la Legge n.191 del 2011, è stato istituito Fondiss, il fondo di previdenza complementare – obbligatorio – dell’Istituto per la Sicurezza Sociale (cd “secondo pilastro”), che essendo un fondo a capitalizzazione, dovrebbe garantire una rendita parametrata a quanto effettivamente versato da ogni singolo contributore. Anche in questo caso la recente riforma ha aumentato le aliquote, ma solo a partire dal 2026 e con % simili a quelle del primo pilastro. Al di là di questo, Fondiss non è stato toccato dalla riforma nelle parti che invece sarebbero dovute esserne oggetto: dalla questione assicurativa a quella delle possibilità di investimento, fino alla basilare ma ancora mancante regolamentazione dell’erogazione. Una mancanza che costringe ogni anno a rinnovare la deroga per cui chi raggiunge i requisiti, invece di una rendita avrà diritto al rimborso del capitale. La riforma di Fondiss, inoltre, è necessaria anche in funzione del successivo ragionamento di unire le gestioni amministrative del primo e del secondo pilastro e, soprattutto, alla prospettiva di formalizzare una strategia di investimenti differente da quella attuale, in funzione dell’opportuna diversificazione e anche di una maggiore redditività degli investimenti.

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