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Spostiamo lo sguardo verso nuovi orizzonti

da Simona Bisacchi

L’attesa è stata vana. Il tuo progetto è stato bocciato dal destino. E ti senti bocciato anche tu. Eri pronto, avevi grandi idee, ma è bastato un fuscello nel mezzo del meccanismo, per mandarlo completamente in tilt. E tutto ciò per cui avevi studiato, fatto sacrifici e messo da parte risorse non c’è più. Eppure “I dolori, le delusioni, la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci e trasfigurarci” (“Peter Camenzind”, Hermann Hesse). I sassolini su cui inciampi, così come i massi che ti cascano sulla testa possono demolirti o diventare un valore. Puoi legarti al dito tutti i dispetti della sorte, della vicina o di tuo cugino. Oppure accettare che la delusione sia una delle possibilità dei sogni. Ma non l’unica. “La delusione per un’anima nobile è ciò che è l’acqua fredda per un metallo che brucia; rafforza, tempera, intensifica, ma non lo distrugge”. Questa frase dell’autrice inglese Eliza Tabor Stephenson (1835 – 1914) coglie l’essenza della questione: bisogna avere un’anima nobile per imparare – invece che farsi annientare – dalle vicende dell’esistenza. È molto più facile buttarsi giù, sentirsi vittima del fato o del cattivo umore di qualcuno. Purtroppo, però, non è utile.

E non è utile nemmeno: arrabbiarsi, spaventarsi, lamentarsi, insultare, incolpare. Risulta, invece, molto utile: rimboccarsi le maniche, abbozzare nuovi disegni, farsi una risata, dare una mano, sperare. Insomma, impegnarsi a costruire quell’anima nobile che in mezzo a una tempesta si bagnerà, certo, ma imparerà a nuotare quel tanto per non affogare. E saprà stare in equilibrio su un sottile pilastro, almeno finché il ponte non sarà pronto.

Perché a un certo punto “Ci si stanca anche di rimanerci male”, come insegna il papà di Charlie Brown, Charles Schulz.

La delusione è una sensazione così terribile, che una volta che la provi fai di tutto per evitarla, per non cascarci più. Ma la realtà è che ogni volta che ti butti in un nuovo proposito, ogni volta che provi a realizzare un’aspirazione, l’esito è incerto e indefinito come il contorno di un campanile in mezzo alla nebbia.

Smettere di tentare non si può. Né di cadere di tanto in tanto.

Ma “se diventi farfalla nessuno pensa più a ciò che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali”, scrive l’immensa Alda Merini.

Perché a volte le cose più belle per noi sono quelle che nemmeno riusciamo a immaginare o addirittura che ci impauriscono. E non ci accorgiamo che facciamo carte false per continuare a trascinarci, rifiutando categoricamente di volare, per paura dell’altezza.

Vogliamo, pretendiamo a volte, senza sapere se ciò che è andato storto sia in realtà una liberazione: perché quello che tanto desideravi oggi, domani poteva rivelarsi la tua gabbia. Le tue esigenze future potrebbero essere così diverse dai sogni passati. E le tue speranze così alte rispetto a questa pianura. Non costruire un rimpianto intorno a qualcosa che non è andato come volevi. Sposta lo sguardo da quello che consideri il tuo fallimento e dirigilo verso l’orizzonte. Saluta quel panorama anche se ti sembrava il più bello del mondo, o rischierai di non cogliere quelli che ti stanno aspettando e saranno tutti tuoi.

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