Home Dal giornale “L’illusione più fatale è il punto di vista stabile”

“L’illusione più fatale è il punto di vista stabile”

da Simona Bisacchi

Ognuno ha il suo punto di vista.

E ogni punto di vista è destinato a cambiare.

Quando sei davanti a un panorama, abbraccerai con lo sguardo cielo e colline, ma ogni volta che ti sposterai – anche di poco – scoprirai una casetta dai muri gialli che prima non vedevi, un piccolo bosco giù nella valle, una chiesetta e un campanile che nessuno sospettava.

“L’illusione più fatale è il punto di vista stabile. Dato che la vita è crescita e movimento, un punto di vista fisso uccide chiunque ne abbia uno” spiegava il critico teatrale statunitense Justin Brooks Atkinson (1894-1984).

Non è solo una questione di paesaggi. Ma anche di relazioni umane.

Idee.

Priorità.

È conoscendo una persona che ne individui meglio la personalità e la natura, al di là degli atteggiamenti. E quanti sorrisi timidi si scoprono dietro a risposte altezzose. E quante unghie affilate si scovano dietro toni garbati.

Cambiano le idee man mano che si cresce. Cambiano le priorità mano mano che si matura.

Man mano che ci si mette in discussione.

“Voi avete opinioni e punti di vista, e questo è normale – scriveva il filosofo bulgaro Omraam Mikhael Aivanhov (1900 – 1986) – Ma vi chiedete di tanto in tanto che cosa vi faccia accettare o rifiutare una certa opinione o un certo punto di vista? Cercate di vedere quali siano in voi le tendenze che vi impediscono di pronunciarvi con imparzialità, e non mostratevi sempre così sicuri di essere nel vero. Sino a quando non vi deciderete ad analizzarvi per poter migliorare il vostro comportamento, continuerete a scontrarvi con gli altri su ogni genere di argomento, senza che ne valga la pena”.

Il punto di vista migliora – diventa più limpido, meno intricato – solo se ci togliamo un po’ di melma di dosso.

Ce n’è di fango da spalare dentro di noi.

Ce n’è di arroganza, supponenza.

Ce n’è di incoerenza. E ora che vediamo gli alberi sprofondare nella terra, come stuzzicadenti dentro una torta calda… Ora che assistiamo a gesti di umanità di altri tempi… Non è il momento di sentirsi salvi. È il momento di prendere un badile in mano. Fisicamente o metaforicamente. È il momento di spalare via le quotidiane lamentele, gli obiettivi frivoli, i pietismi, e prendere esempio dalla dignità con cui in tanti stanno vivendo il loro dolore. È il momento di accettare che siamo appesi a un filo – tutti, non solo le case appoggiate sulle frane – e in questa consapevolezza lavorare sulla nostra capacità di comprensione degli altri. Sulla nostra capacità di accettazione di tutte quelle vicende, su cui non abbiamo controllo.

E cercare, così, di conquistare quella forza di reagire, di cantare, di affrontare il fango dei giorni.

O qualsiasi piena – del fiume o della vita – avrà la meglio su chi non ha mai preso un badile in mano e mai ha preso in mano se stesso.

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