Home Notizie del Giorno Visto per voi al Bonci: “Voglio soltanto le ossa” di Garaffoni

Visto per voi al Bonci: “Voglio soltanto le ossa” di Garaffoni

da Alessandro Carli

Lo spettatore scopre, nella seconda metà della mise en scene, che la frase che dà il titolo allo spettacolo è una bugia: in realtà la madre di Cristina Golinucci vorrebbe solo guardare ancora un po’ la figlia scomparsa. “Voglio soltanto le ossa” di Giacomo Garaffoni, produzione ERT in prima assoluta al Bonci di Cesena il 25 e il 26 novembre, è un lavoro che non si limita a lasciare il segno ma riporta in superficie – se mai è stato cancellato dal ricordo della città – la scomparsa della ragazza, avvenuta nel 1992 nella zona del Convento dei Frati Cappuccini. Il regista e autore del testo sceglie un’ambientazione decisamente saviniana – quel Kursaal di “Alcesti di Samuele” – per l’interpretazione delle due attrici in scena, Livia Rossi e Alice Torriani, sempre in sospeso tra un’assenza e una memoria. Sin dalla prima scena – la mamma, seduta sul boccascena che ripulisce dal sangue la figlia – l’intenzione di Giacomo Garaffoni è chiara: zoomare sì il dramma della morte, ma anche dare spazio ai pensieri più umani attraverso una scelta “fonica” da film, con le voci e i rumori volumati molto verso l’alto. Emergono così i vuoti della madre che calcola quanto tempo ci impiega un corpo a diventare terra, che desidera che i suoi resti fossero stati rinvenuti per poterla pregare. Un testo di grande poesia, doloroso, potente, soprattutto quando la mente della madre le fa dire che “anche le fotografie hanno smesso di somigliarti”, o quando recita un rosario non canonico sulla mutazione rassegnata del cuore (“Ti senti piangere, ti sento polvere”).
Il gioco dei colori – il nero iniziale, il bianco asettico e asfaltato del salotto – non può che rimandare al percorso formativo del regista (Societàs Raffaello Sanzio) senza però esserne “omaggio”. Garaffoni fa suoi gli insegnamenti per tracciare una sua strada precisa che arriva come una lama in platea: concede quegli abbracci negati dalla vita alle due protagoniste, le fa parlare, le fa cercare, le mette schiena contro schiena. Cristina è un’ombra, la madre una maschera. Ma a differenza de “L’inconsolabile” del Cesare Pavese di “Dialoghi con Leucò” dove Orfeo si gira volutamente verso Euridice per perderla in quanto non si più amare una persona morta perché il ricordo distruggerebbe il futuro, in “Voglio soltanto le ossa” riaffiora una forza umana molto marcata che si racchiude, nella chiusa, in “Like a prayer” di Madonna cantata solo vocalmente dalla madre: un’invocazione a una Madonna “pop”, forse apocrifa ma non per questo meno vera.   

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