Dopo diversi mesi di confronto con la Segreteria di Stato per la Sanità si è concluso un primo esame della proposta di riforma del sistema pensionistico, almeno con le associazioni dei datori di lavoro.
L’intervento mira principalmente a trattenere i lavoratori per più anni in attività (quota 103) e a rendere strutturale la ritenuta di solidarietà riparametrata sulle diverse fasce di reddito da pensione, in attesa che gli interventi di riforma – compresi quelli precedenti – producano per intero i loro effetti. Va detto che questa scelta non dà una risposta sufficiente alla riduzione del disavanzo tra entrate contributive e uscite per il pagamento delle pensioni, per ripianare il quale il bilancio dello Stato è chiamato ogni anno ad un esborso molto rilevante che rischia di diventare insostenibile. Per l’anno 2021 il disavanzo previdenziale ammonta a 22 milioni di euro al netto del contributo dello Stato pari a 29 milioni di euro.
Entrando nel merito della riforma, dalle proiezioni attuariali si evince poi che il tasso di sostituzione si mantiene all’incirca nella stessa misura per i redditi da pensione medio bassi, mentre invece continuano ad essere penalizzati i lavoratori che si costruiscono una crescita professionale e un percorso di carriera. Questa dinamica va necessariamente corretta perché disincentiva – invece di premiare – l’impegno, il merito e l’assunzione di maggiori responsabilità.
Stiamo insistendo con forza per avere una proposta migliorativa nei riguardi del trattamento previdenziale dei dirigenti, oggi ulteriormente penalizzati dal tetto pensionistico, che di fatto si traduce in un ostacolo all’attrazione di queste figure professionali e costringe sempre più spesso le imprese ad adeguamenti retributivi e/o di previdenza integrativa estremamente onerosi. Inoltre, questo meccanismo, che prevede la perdita totale dei contributi sulla parte di retribuzione eccedente il tetto (oggi fissato ad €. 47.110,57), presenta a nostro avviso forti dubbi di costituzionalità e per questo va assolutamente modificato.
A tal riguardo abbiamo avanzato diverse proposte, come ad esempio quella di predisporre un modello che preveda, da un alto, l’elevazione graduale del tetto pensionistico e, dall’altro, una sensibile riduzione del peso contributivo sulla parte retributiva eccedente il tetto anzidetto. Oppure quella di trasferire buona parte dei contributi versati oltre il tetto a FONDISS nella posizione individuale del dirigente. L’obiettivo deve essere quello di coniugare il principio di solidarietà con quello di equità.
Altro punto su cui abbiamo posto l’attenzione è quello di evitare l’aumento dei contributi a carico delle imprese per non perdere competitività in termini di costo del lavoro. Prima di aumentare le aliquote, considerato che già oggi i fondi assegni familiari e malattia registrano residui attivi significativi, riteniamo opportuno trasferire tali risorse al fondo pensioni.
Vi sono poi una serie di altri argomenti importanti sui quali si sta ancora ricercando un punto di equilibrio come ad esempio il secondo pilastro (Fondiss) che necessita di essere rafforzato, la gestione dei fondi ai fini di una maggiore redditività, la cumulabilità del reddito da lavoro con quello da pensione, gli incentivi all’occupazione dei giovani, ecc.
Una riflessione in termini di equità, infine, va fatta anche per altre categorie per le quali lo Stato ogni anno è chiamato a un cospicuo esborso per il ripianamento del relativo disavanzo.
L’auspicio è che entro i prossimi mesi si possa trovare una sintesi affinché la riforma possa entrare in vigore dal 1° gennaio 2023 coniugando equità e sostenibilità del sistema pensionistico.
ANIS