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Antonio Canova e Mimmo Jodice si incontrano a San Marino

da Alessandro Carli

“Ho letto gli antichi, una volta prodotto un suono, erano soliti modularlo, alzando e abbassando il tono, senza allontanarsi dalle regole dell’armonia. Così deve fare l’artista che lavora ad un nudo”. In questa riflessione risiede, scolpita, la poetica di Antonio Canova. Mimmo Jodice, Maestro anche lui ma della fotografia, nel 1992 ha “fermato” su pellicola alcuni capolavori dell’artista di Possagno e oggi, a distanza di 30 anni, parte di quel corpus innerva la mostra “Jodice / Canova e il Neoclassicismo a San Marino”, ospitata all’interno dell’Ambasciata d’Italia e curata da Maria Giovanna Fadiga Mercuri.

Visitabile su prenotazione sino al 28 aprile, l’esposizione – circa 40-45 immagini in bianco e nero e realizzata in occasione del bicentenario della morte – è un viaggio verticale nel tempo e nella bellezza. Il busto di “Paride”, “Venere e Adone”, la “Testa di Calliope”, la “Maddalena penitente”, le “Tre Grazie”, la “Venere italica”, la “Danzatrice con le mani sui fianchi”, “Paolina Borghese”, “Damosseno”, “Euridice”, “Dedalo e Icaro”, “Orfeo”, “Ebe”, “Napoleone” e un autoritratto dello stesso Maestro sono solo una parte delle immagini, in bianco e nero, che raccontano un periodo, posizionato tra la seconda metà del Settecento e i primi dell’Ottocento che ha visto in Johann Joachim Winckelmann uno dei massimi teorici ed esponenti della “corrente”. Fu lui difatti che “promosse” un’arte basata sul senso dell’armonia, su una “nobile semplicità e quieta grandezza”. Ed è su questa frase che la curatrice ha avviato la visita guidata, non prima di aver ricordato il legame tra le “Grazie” di Antonio Canova e quelle di Ugo Foscolo. “La frase ‘nobile semplicità e quieta grandezza’ parla anche della Basilica di San Marino” ha spiegato Maria Giovanna Fadiga Mercuri. Com’è noto è proprio all’inizio dell’Ottocento che la Pieve romanica, in condizioni di grave degrado, venne sostituita da una Basilica, edificata secondo i nuovi canoni artistici neoclassici dall’architetto bolognese Antonio Serra tra il 1825 e il 1855 e ornata dalle opere dello scultore Adamo Tadolini (1788 -1868), allievo prediletto del Canova. E significativa è la scelta di commissionare a quest’ultimo una stele dedicata al padre della Patria Antonio Onofri, ricca di valenze civiche e politiche, oltre che artistiche.

La mostra, ha proseguito la curatrice, “è divisa in più parti: una prima è dedicata ai movimenti mentre la seconda è più statica, quasi una ‘fuga’ dalle passioni. Nelle prime opere, quelle che Canova ha scolpito tra i 15 e i 18 anni, si ‘legge’ ancora il Barocco: i visi sono stati ‘presi’ dal Bernini. Canova è stato ‘strizzato’ tra due grandi rivoluzioni, quella del Barocco e il Romanticismo”. Il tocco, la perfezione dell’artista trevigiano conquistarono anche Napoleone. “Quando incontrò l’arte del Canova, Bonaparte disse: ‘È il mio logo’. Il generale francese, attraverso il Maestro, inaugurò un nuovo linguaggio politico”.

Oltre alla bellezza unica delle “tre Grazie”, la curatrice si è soffermata sulla “Maddalena penitente”, un’opera “non barocca, non romantica in senso cronologico, ma molto romantica. È una fanciulla sofferente ma quieta, accettante”.

La bellezza delle immagini di Jodice risiede nel rispetto del pensiero di Canova: particolari ancora vivi, che parlano non attraverso le parole ma scegliendo le curve del marmo, le posture sempre in equilibrio. E come disse il Maestro, anche il fotografo si è avvicinato alle opere seguendo la “filosofia” della luce di candela che si può dirigere e controllare.     

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