Recuperato dal novembre 2020 data in cui avrebbe dovuto far parte della rassegna teatrale 2020-21 (anno in cui la mosca bianca del Teatro Riminese fu Voci dell’Anima, unica rassegna teatrale aperta e completata in periodo coronavirus), “Un bès – Antonio Ligabue” è lo spettacolo portato in scena e interpretato da Mario Perrotta.
Antonio Mario entra in scena dalla platea blaterando subito le parole del suo personaggio. Subito mi parte un plauso ad una piacevole vista ed un piccolo disturbo immediatamente percepito…
Il plauso alla vista è quello di non vedere poltrone vuote: niente distanziamenti e sala gremita. Un giusto riconoscimento all’impegno della Regina che non ha mai mollato di fronte all’intricata e ben nota vicenda.
Il piccolo disturbo è sentire il primo tormentone ein, zwei, drei eccetera. Perché non eis, za, dru eccetera? L’ignorante Laccadue conosceva poca scuola ma almeno lo Schwyzerdütsch…
Non è l’unico tormentone dello spettacolo mascherina a parte: damm un bès, i fogli disegnati sulla scena, le posture, le frasi ripetute, l’onanismo… jawhol!
Mario Ligabue Perrotta si dà un gran daffare, è energico e ci dà di voce e di pastello ma è davvero necessario tutto questo chiasso? Perché disegnare? E poi perché in bianco e nero quando la preoccupazione di Ligabue era di avere tutti i colori in campo a dar vita alle sue bestie…
Sì, le sue bestie che eran tante, quelle nella testa, quelle nella notte, quelle nei boschi, quelle dei sensi mai sopiti e mai potuti alleviare se non sulla tela, sui cartoni, sugli alberi.
Questa musica ripetitiva sul tormento o sul tormentone che sia finisce per non avere accenti; mi scuso per sentirla in modo diverso dal pubblico contentissimo dello show, ma i gimmicks, le ripetizioni, anche l’attore troppo ‘in salute’ non mi trasmettono quello che invece immagino sia cresciuto come un daimon dentro Ligabue: l’ossessione.
Il sentimento è assente. Come è possibile? Un bambino orfano di padre, che poi viene riconosciuto dal nuovo compagno di lei e ceduto dopo gli stenti dei primi tempi di vita ad una famiglia svizzera anch’essa povera. Malnutrito e senza istruzione problematico ragazzo che si appassiona alla pittura e poi il primo ricovero psichiatrico e poi il secondo e poi eis, za, dru… cacciato dalla Svizzera grazie alla matrigna. Intruso spedito nella bassa reggiana perché ci era originario chi gli ha dato il nome per poi forse sterminare la madre e i tre fratelli di Ligabue…
Ma sto forse cadendo nella stessa trappola. Perché raccontarne la vita? La biografia la puoi leggere. Per raccontare un artista è un altro il tratto, la macchia che devi far uscire: un gesto rauco, un suono e poi una pausa che dia posto a una macchia sul volto. Insomma serviva che ci fosse del colore e anche più di uno… due… tre.
Saluti e baci… anzi meglio: tschüss…
Teresio Massimo Troll