Home Dal giornale L’ultimo volo del “cigno Gaber” sul Monte Titano

L’ultimo volo del “cigno Gaber” sul Monte Titano

da Alessandro Carli

Urbino è alle spalle, esame superato. Scelgo di cambiar strada: passo dai monti. Non so perché: è più comodo passare per Tavullia e San Giovanni in Marignano, e poi da lì prendere per Rimini. Ma non ci penso: la musicassetta gira da sola, la mia Ford Ka trotterella sulle strade dissestate. Passo per Fiorentino, poi Borgo Maggiore, poi Dogana. Stasera c’è Gaber. Mi fermo, prendo il biglietto. Il suo ultimo spettacolo dal vivo, lo avrei saputo più tardi, tre anni dopo. Il mio ultimo “30” sul libretto, lo avrei scoperto più tardi ancora.

Vent’anni fa Re Giorgio se ne è andato anche se non è uscito mai di scena: dal 2003, ovunque, sono stati riallestiti i suoi spettacoli. Anche sul Monte Titano: nel 2019 Elio ha portato al Nuovo di Dogana il monologo “Il grigio”, piccola e preziosa parentesi di prosa nel periodo del teatro-canzone di Gaber (1988).

A novembre di quest’anno è approdato nelle sale “Io, noi e Gaber”, un film di Riccardo Milani: a raccontarlo, oltre a decine di spezzoni delle sue apparizioni televisive e dei suoi spettacoli teatrali, e molteplici canzoni scritte e interpretate dal Signor G, tanti testimoni che l’hanno conosciuto e che a lui si sono ispirati: dalla figlia Dalia Gaberscick, al nipote Lorenzo Luporini, Sandro Luporini fino a Ombretta Colli, che non parla mai ma incarna il suo rimpianto. E poi Jovanotti, Fossati, Morandi, Paolo Jannacci, Gino e Michele, Fazio, Serra, Mogol, Gianco, Bisio.

L’ultimo spettacolo dal vivo lo ha “eseguito” a San Marino. O meglio: vissuto. Perché per lui il palco era una “prova di verità”, di generosità. E a rivedere la locandina dello spettacolo (per gentile concessione degli Istituti Culturali), il pensiero torna ancora e sempre al suo inconsapevole “canto del cigno”. La tournée si intitola “Gaber 99/00”. Il foglio di sala che pubblichiamo ci è stato gentilmente concesso dalla Fondazione Giorgio Gaber. “Anche in questa occasione Gaber e Luporini continuano la loro indagine sui disagi esistenziali della nostra epoca. La ricerca si snoda attraverso quell’alternanza di canzoni e monologhi che caratterizza l’originalità e l’unicità del loro linguaggio teatrale. Come sempre avviene il discorso si riallaccia allo spettacolo precedente (‘Un’idiozia conquistata a fatica’) per venire via via precisato, puntualizzato e arricchito di nuovi spunti e nuovi obiettivi. Si approda così a una visione più chiara e ragionata dove la certezza e l’accettazione del dolore e della quotidiana fatica viene filtrata, come di consueto, dall’ironia e dall’autoironia dei due autori. Il tema centrale dello spettacolo diventa lo stretto rapporto di causa-effetto che c’è tra l’inarrestabile espansione del mercato e lo scadimento delle coscienze sempre più assuefatte al consumo e alla totale dipendenza dalla produzione. Riaffiorano temi e riflessioni che ci riportano a ‘Libertà obbligatoria’, spettacolo fondamentale, negli anni 70, per la produzione di Gaber e Luporini. È come se un pericolo allora paventato si fosse oggi inesorabilmente trasformato in una realtà concreta sotto i nostri occhi. In questo quadro, che sembrerebbe non prevedere vie d’uscita, si impone all’individuo l’arduo compito di mantenere un precario ma consapevole equilibrio che gli consenta di dare un senso alle sue azioni quotidiane. D’altronde se è vero che l’antagonismo decisivo è quello tra la coscienza e il mercato, è possibile che da questa contrapposizione, da questa presunta complementarietà l’uomo possa rinascere di dentro e immaginare un nuovo umanesimo che riporti l’individuo al centro della vita”.

Sudato, come sempre alla fine della maratona, e davvero stanchissimo, alla fine dello spettacolo è uscito per farsi asciugare la fronte dall’aria proveniente dagli applausi delle mani della platea e, come ricorda bene chi lo ha visto dal vivo, ha preso una chitarra e ha fatto un medley dei pezzi che lo hanno reso celebre, il Gaber “prima di diventare il “signor G.”: “Barbera e champagne”, “La ballata del Cerutti”, “Torpedo blu”, cantati a gran voce dai presenti (compreso il ritornello “poti poti” dell’ultima canzone).

Finito lo spettacolo, risalgo sulla Ka: giornata di splendida meraviglia. Nell’autoradio “gira” una musicassetta di Gaber, ovviamente. Il brano è “La libertà”, una delle sue perle più pure. (“…la libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione”). Nel film di Milani, a un certo punto, Giorgio spiega che la parola “partecipazione” forse era errata ma che motivi di metrica non aveva trovato di meglio. 

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