Home Notizie del Giorno Visto per voi a teatro: “Via del popolo” di e con Saverio La Ruina

Visto per voi a teatro: “Via del popolo” di e con Saverio La Ruina

da Alessandro Carli

Si cresce nelle strade. Ce lo hanno insegnato Emilio Gadda con il pasticciaccio di Via Merulana, Ferenc Molnar raccontando i ragazzetti di “Via Pal”, Fabrizio De André con la storia della “graziosa” di “Via del Campo” ma anche Emma Dante con “Via Castellana Bandiera”. In questa enorme palestra di vita si inserisce, in maniera dignitosissima, anche “Via del popolo” di Saverio La Ruina (foto: Angelo Maggio), spettacolo-monologo decisamente autobiografico che domenica 5 novembre si è fermato nella Sala Teatro di Poggio Torriana davanti a circa 100 persone per un’ora e un quarto. È il racconto della sua famiglia calabrese, dell’apertura di un bar a Castrovillari da parte del padre Vincenzo e dello zio Nicola, dei primi lavori come cameriere, del primo bacio, delle lotte politiche: un amarcord dal sapore lontanamente felliniano, dal gusto più “vicinamente” spoonriveriano (come ricordano i lumini bianchi posizionati sul palcoscenico, come ha citato lo stesso attore e drammaturgo verso la fine dello spettacolo) ma in salsa pienamente italiana.
Gli anni del piccolo La Ruina sono quelli dell’Italia sessantina, quelli dell’arrivo dei juke box, della speranza dopo le rovine della guerra, del rilancio. È qui che si muove, con eleganza verbale e abbigliamentale il protagonista, vestito con una giacca bianca che, come un “Penelope”, ricuce e soprattutto ricama la sua vita: l’addio al monte Pollino, gli insegnamenti del padre per pronunciare in perfetto e corretto dialetto castrovillarese la parola “papà”, le punizioni corporali – cinghiate nelle gambe – quando Saverio arrivava tardi a lavoro, poi gli anni delle contestazioni politiche, il Living Theatre di Julian Beck. E tutti i personaggi che popolano questo Kursaal saviniano: Pino del Ristorante Pino e i suoi 10 bicchierini di Kambusa, l’elettricista che sistemava ogni elettrodomestico non con gli arnesi del mestiere ma con un colpetto della mano, il macellaio, identico a un personaggio de “Il padrino”. Mescolando dialetto e italiano dialettale, il monologo è un viaggio nel tempo, come annunciano “gli orologi molli” di Salvador Dalì piantati sul fondale. Tempo passato, ma senza nostalgia, tempo presente e anche futuro, per tracciare una strada. Anzi, una “Via”. Con la V maiuscola.     

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