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Con la “Liscia” lungo le stradine bianche di Città

da Alessandro Carli

Spesso gli spunti accadono, ti capitano davanti agli occhi. Per l’apertura del secondo “Speciale cultura” del 2023 abbiamo deciso di dedicare le nostre parole ai bambini, ricordando, come scrisse Antoine de Saint-Exupéry, che “tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)”. Lo spunto è subito detto: due francobolli del 1989 che raffigurano due giochi molto noti in Repubblica, uno più estivo e uno più invernale. E, vista la stagione, parliamo della “Liscia”, certi che alcuni nostri lettori l’abbiano “sperimentata” tra le stradine scoscese di Città.

TRA LE STRADE DEL CENTRO STORICO IN SLITTA

La rigida stagione invernale, con abbondanti nevicate che costringevano le persone a uscire di casa solo per stretta necessità, forniva l’occasione, nei giorni in cui soffiava la tramontana, per un divertimento semplice, che comunque rallegrava sia gli adulti che i bambini. In una via cittadina particolarmente adatta per il tracciato misto di tratti in discesa e pianeggianti, veniva costruita una rudimentale pista con il fondo e le spondine di neve pressata sulla quale, all’imbrunire, veniva irrorata acqua affinché il freddo della notte formasse uno strato gelato. L’indomani tutto il tracciato era pronto per accogliere coloro che avessero voluto cimentarsi in spericolate discese su sedie di ogni genere e forma o slittini adattati alla buona: bastavano ogni tanto due tavole di legno allungate, un po’ di dimestichezza con la falegnameria più elementare, chiodi, pialle, martelli. E quel senso di aggregazione che solo certe attività ti fanno vivere.

Questo gioco collettivo inizialmente non aveva alcun costo. Poi, a poco a poco, le comitive che si adoperavano a realizzare la “liscia”, pensando di unire l’utile al dilettevole, cominciarono a far pagare un biglietto ai discesisti, 50 centesimi per un’ora di corsa, mettendo anche un addetto alla “stanga”.

Questa era all’inizio della “liscia” e regolamentava le partenze, anticipando i celebri “palazzi del ghiaccio” e i moderni impianti nelle stazioni invernali.

Il divertimento si protraeva anche per diversi giorni, se la tramontana perdurava.

Quando il tempo cambiava e soffiava lo scirocco – quel vento caldo che riscaldava le mani -, allora la “liscia” si scioglieva, trasformando la pista in un impervio rigagnolo di fanghiglia e acqua, ponendo fine al divertimento.

Paolo Forcellini (sua la foto) ha dedicato parte delle sue attenzioni a questa attività, che riportiamo volentieri per completezza. A partire dal nome: sì “Liscia” ma anche “Oriolo”, e “per i giovani sammarinesi, e non solo, della fune degli anni ’50 uno dei maggiori divertimenti del lungo inverno che in quei tempi si viveva a San Marino. Una pista di ghiaccio, larga quanto una scaranina, la tipica slitta tutta sammarinese, scendeva da Piazza Titano sino al Crocefisso fra due montagne di neve. Veniva preparata, per lo più nel mese di gennaio-febbraio con grande cura dagli scalpellini, che nell’inverno non esercitavano il loro lavoro, dopo un’abbondante nevicata e quando le temperature restavano sotto lo zero per intere settimane. Si scendeva a grande velocità o singolarmente o in coppia o in gruppo che formava il così detto carrozzone, talvolta composto anche da più di dieci persone. I più coraggiosi invece di scendere seduti, univano due scaranine e si stendevano di ‘pancetta’ rischiando non poco in caso di uscita dalla pista per l’alta velocità che raggiungeva il suo massimo davanti all’ara dei Volontari per poi ridursi fino ad azzerarsi davanti al ‘macello’ da dove si risaliva di nuovo a piedi per raggiungere il punto di partenza e così poter effettuare un’altra discesa. E così fino a tarda notte, se la stanchezza non sopraggiungeva prima. L’oriolo, costantemente curato e riparato, veniva utilizzato dopo il tramonto quando la bassa temperatura rendeva il ghiaccio più solido. L’oriolo, che qualcuno chiamava anche oriuolo, purtroppo dal 1960 non è stato più costruito, rimanendo nei ricordi di tantissimi sammarinesi che hanno avuto la fortuna di provare l’ebbrezza di quelle discese”.

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