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La spesa corrente sempre più alta frena gli investimenti pubblici

da Daniele Bartolucci

La spesa corrente del Bilancio dello Stato continua a crescere nonostante l’ormai chiara esigenza di “revisione” della stessa al fine di rendere sostenibile l’ingente indebitamento esterno di quest’anno (490 milioni di euro tra titoli di stato e prestito ponte). L’altra faccia della medaglia è che aumentando i “costi fissi” dello Stato, si riducono le risorse per gli investimenti, a tal punto che il rapporto tra le spese correnti e quelle in conto capitale è arrivato a poco più del 5%, limitando fortemente le operazioni di ammodernamento del sistema, a partire dalle infrastrutture sia fisiche (opere pubbliche, viabilità ecc) che tecnologiche. Inoltre, utilizzando gli indicatori che Opeopolis ha creato per analizzare i bilanci dei Comuni italiani, emerge che l’Equilibrio della parte corrente è sotto all’80%, mentre una gestione virtuosa delle entrate e delle uscite dovrebbe come minimo superare quota 100% (“la buona regola per i bilanci delle amministrazioni è che le spese correnti siano finanziate con entrate correnti, e non con incassi una tantum”).

La situazione fotografata negli ultimi Bilanci (San Marino Fixing  – vedi tabella a centro pagina – ha scelto in particolare di analizzare gli assestamenti in corso d’anno, che riportano numeri più veritieri dei previsionali) è deficitaria: le entrate infatti non coprono le uscite, se non con interventi straordinari come mutui e prestiti (quindi a debito), che a loro volta appesantiscono con rimborsi e interessi la parte delle spese, ovviamente. Una spirale che va fermata quanto prima, soprattutto ora che c’è un obiettivo ulteriore: ripagare la fiducia concessa allo Stato con i finanziamenti esterni.

LA GRANDE ASSENTE: LA SPENDING REVIEW

Premesso che l’effetto della Spending Review non si era visto nemmeno nel 2019, al contrario di quanto annunciato e anche di quanto stabilito per legge (segnatamente la Legge 7 agosto 2017 n. 94, che aveva imposto un taglio del 2,5% per il 2018, del 3,5% per il 2019 e del 4% per il 2020), da mesi si parla di gruppi di lavoro, ma al momento di concreto c’è ancora poco e i numeri del Bilancio lo certificano. E non mancano di certo gli spunti, visto che l’attività di analisi è partita quasi dieci anni fa, con la vecchia relazione presentata in data 31 maggio 2013 dal Gruppo Tecnico per la revisione della spesa pubblica, istituito ai sensi dell’articolo 5 della Legge 21 dicembre 2012 n.150.

Gli obiettivi – finora mancati – non sono però solamente contabili: a una necessaria riduzione della spesa corrente, infatti, devono corrispondere l’efficientamento della “macchina”, affinché davvero la PA diventi quel “volano” per lo sviluppo di cui tutto il sistema ha bisogno. Ciò significa rivedere non solo i contratti e gli orari di lavoro dei dipendenti, che vanno allineati a quelli del settore privato (una battaglia che a quanto pare nessuno vuole intentare, non tanto contro i sindacati ma contro il “consenso”, ndr), ma anche le regole di ingresso per dare a tutto il settore pubblico più competenze e quindi migliorare i servizi offerti a cittadini e imprese. In parallelo, vanno affrontate con determinazione tutte quelle situazioni (vedasi partecipate e Aziende Autonome) in cui probabilmente è meno oneroso se non addirittura più redditizio che sia il privato a gestirli. Per non parlare del “caso Poste”, che sono una Società per azioni di diritto privato, ma che ha alle proprie dipendenze per la maggior parte dipendenti pubblici. Poi c’è la questione entrate, che vanno generate anche dal settore pubblico, laddove la gestione (vedasi ad esempio la sanità) debba rimanere in capo allo Stato: non solo prestazioni a pagamento per i sammarinesi (il cosiddetto ticket) ma anche e soprattutto per gli italiani, tramite gli accreditamenti con le Aziende Sanitarie di Emilia Romagna e Marche in primis.

IL CONFRONTO CON I COMUNI ITALIANI

Se è vero che l’Italia non rappresenta certamente l’eccellenza nell’ambito della spesa pubblica, è anche vero che rispetto a San Marino si posiziona meglio in tantissimi ambiti (basti pensare che la supera di gran lunga nella graduatoria “Doing Business” che misura in pratica la burocrazia nazionale nei confronti delle imprese), compreso questo. Del resto, le “politiche” improntate all’austerità sono state realmente applicate e non solo annunciate (e non solo da Mario Monti, ndr), così come sono state implementate diverse riforme sulla Pubblica Amministrazione (Renato Brunetta è considerato ideologicamente il capostipite, ma anche gli interventi di  Marianna Madia non sono stati  affatto “leggeri”).

Basti guardare lo studio effettuato quotidianamente da Openopolis sui Comuni italiani per comprendere quali siano ormai gli standard degli enti pubblici. Ovviamente San Marino è uno Stato e non è paragonabile a un Comune, anche se per dimensione, popolazione e dinamiche sono molto simili. Questo non toglie che gli indicatori utilizzati per analizzare i bilanci dei Comuni possano essere “prestati” ad un’analisi sul Bilancio dello Stato della Repubblica di San Marino.

In particolare quello denominato “Equilibrio della parte corrente”, che misura la capacità del singolo comune di coprire le spese correnti (quelle necessarie per fare fronte all’amministrazione ordinaria) attraverso le entrate correnti (quelle dei primi tre Titoli del bilancio quindi escluse entrate da vendita del patrimonio o da indebitamento). Tra le spese in questo caso non vengono calcolati gli interessi per mutui e prestiti (correnti in senso stretto). Questo rapporto è calcolato in percentuale: maggiore il valore, maggiore l’equilibrio di parte corrente. Se prendiamo i migliori Comuni italiani, il confronto con San Marino è impietoso: il record appartiene a Verona, dove il rapporto tra le entrate correnti e le uscite correnti è stato pari al 118,3%, ma anche Genova e Trieste, entrambe attorno al 116%, non sono affatto messe male. Sopra la soglia del 100% si sono anche Bologna, Bari, Milano e Firenze. E San Marino? Dopo aver gravitato attorno quota 103-107%, da 2019 in poi ha visto un peggioramento costante, velocizzato ovviamente nel 2020 con le Variazioni che hanno inserito nel Bilancio l’indebitamento da 500 milioni di euro (poi formalizzato solo a inizio di quest’anno), fino a scendere sotto l’80% attuale.

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