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Le bambine di Nicoletta Ceccoli alla Biennale di Venezia

da Alessandro Carli

Con le sue opere pittoriche, popolate da creature e simboli fantastici, Nicoletta Ceccoli – una delle otto artiste che rappresenterà la Repubblica alla 59esima “Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia”, in programma dal 23 aprile al 27 novembre 2022 – racconta una nuova comunione con il non-umano, con l’animale e con la terra, esaltando un senso di affinità fra specie. Una “poetica” che sposa in pieno il titolo del progetto, supervisionato dal commissario Riccardo Varini e curato da Vincenzo Rotondo, “Postumano Metamorfico”.

Con che opere parteciperà alla Biennale?

“Condividerò con l’artista Roberto Paci Dalò un progetto fatto di volti, disegno e suono. Io ho dipinto tre opere con protagoniste bambine con un’anima animale”.

Cosa raccontano le sue bambine metamorfiche?

“Parlano della fusione e dell’unisono tra umano e animale. Il mio punto di partenza è che la natura è perfetta mentre gli esseri umani fanno tutto il possibile per prendere le distanze da essa. Gli animali provano emozioni pure mentre l’uomo è ‘artificio’. Quest’ultimo, sebbene più complesso di un animale, ha perso nel tempo tutto ciò che lo rendeva ‘vero e spirituale’ e lo ha sostituito con falsi valori, false emozioni, falsi bisogni. Gli esseri umani sono creature capaci di crudeltà, intrighi. Nel mio universo ultraterreno e oscuramente romantico, le donne sono creature magiche, metà umane metà animali e vegetali, organico e inorganico, animale e vegetale si sovrappongono e si fondono. Col mio lavoro tento di esplorare  il mistero, la trasformazione e il sacro. Le mie creature antropomorfe esistono tra uno stato di veglia e uno stato di sogno, tentano di illuminare i fili invisibili di connessione tra gli esseri viventi e gli ambienti in cui abitano. Le raffigurazioni di flora e fauna si fondono con i personaggi umani e animali. L’oscurità e la luce sono in costante gioco e cerco di mantenere un delicato equilibrio tra le due. Mi ispiro alla mitologia, i miei lavori sono popolati da creature e simboli fantastici, abitanti di mondi che sembrano esistere all’alba della creazione, dove avvengono scoperte magiche e trascendenti. Creature ibride, metamorfosi che fungono da estensione e connessione con la natura. Umani che indossano maschere animali e contemplano la propria doppia natura. Esseri che sembrano scambiarsi doni misteriosi. In queste opere la valuta è tipicamente il cuore, l’anima e la coscienza. Sono rappresentazioni di uno scambio di potere tra esseri, con interpretazioni a più livelli. Raccontano  una nuova comunione con il non-umano, con l’animale e con la terra, esaltando un senso di affinità fra specie”.

Ha lavorato su “commissione” per la Biennale oppure ha proposto qualche opera?

“Sono stata invitata a riflettere sui concetti di transumano e post-umano. In un momento storico in cui siamo arrivati quasi a distruggere l’ambiente che ci ospita e ad  autodistruggerci è giusto mettere in discussione la visione moderna e occidentale dell’essere umano come il centro dell’universo e come misura di tutte le cose. Al suo posto ho voluto contrapporre  mondi fatti di nuove alleanze tra specie diverse e abitati da esseri ibridi e permeabili. Volevo celebrare una nuova comunione tra l’animato e l’inanimato, umano e non. Sono sempre stata attratta da filosofi come Thoreau che già a fine 800 raccontavano modi di vivere profondamente alternativi a quelli moderni, intimamente legati alla natura”.

Quanto tempo impiega per completare un quadro?

“Spesso impiego molto tempo a cercare l’idea giusta, anche settimane, altre volte pochi giorni. L’esecuzione tecnica del lavoro è quasi sempre lentissima, anche 3 settimane, soprattutto quando ho dei ripensamenti sulla composizione o addirittura l’idea e copro col colore tutto o rifaccio delle parti. Potrei rivedere e migliorare – o peggiorare – lo stesso disegno all’infinito”.

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