Home Dal giornale CTSM: con Ezio Bartolini alla (ri)scoperta dei frutti dimenticati

CTSM: con Ezio Bartolini alla (ri)scoperta dei frutti dimenticati

da Alessandro Carli

Un frutto misterioso perché è l’unico che con il tempo è capace di rendere più forte il suo profumo, invece che farlo illanguidire. Un frutto fatto di sole e luna, un frutto dei contrasti, un frutto che ha dato il titolo a un bellissimo libro di Paolo Rumiz. Un frutto che è ben conosciuto anche nella Repubblica di San Marino. Ce lo conferma Ezio Bartolini, il curatore della Casa di Fabrica. “La mela cotogna veniva raccolto in questo periodo, in autunno” racconta mentre ne accarezza uno che fa capolino su un ramo dell’albero piantato vicino al Museo della Civiltà Contadina. “Veniva impiegato o per profumare la casa – posto sopra il caminetto, oppure tra i vestiti piegati nei cassetti – oppure per fare la marmellata o la mostarda, da abbinare a un formaggio o spalmato nella piada. Ma anche come ingrediente per i dolci”. Le donne, i veri angeli del focolare, lo univano però spesso alla carne. “L’arrosto di maiale si sposa bene con la mela cotogna, ma anche i bocconcini di vitello”. Ogni casa colonica ne aveva sempre qualche albero. “Spesso i contadini piantavano la mela cotogna e la pera cotogna nella vigna così da poter intrecciare i rami delle uve. Erano degli autentici sostegni che servivano per far respirare i grappoli”.

La stagione che segue l’estate è una danza di colori e profumi. “Ottobre è anche il mese della melagrana” prosegue Ezio. “Un frutto meraviglioso e che fa davvero bene alla salute: è un antitumorale, un antibatterico e un antinfiammatorio”. Proprietà scoperte abbastanza recentemente (“Oggi si beve spremuto e gli esperti lo consigliano con i semi: aiutano a pulire l’intestino” aggiunge Bartolini): una volta invece trovava il suo “impegno” unicamente in cucina. I “chicchi” difatti venina sparsi sul pesce, sull’insalata verde o sul cavolo cappuccio. “Il suo sapore asprigno sostituiva l’aceto” ricorda il curatore della casa di Fabrica.

L’almanacco del frutti dimenticati (così li ha definiti il poeta Tonino Guerra) prosegue con il giuggiolo. “I ragazzini raccoglievano le giuggiole e se le mettevano in tasca per mangiarle durante il giorno. Il nocciolino che si trova all’interno veniva eliminato quasi subito perché pungeva”. Come le nespole e il sorgo. “Le prime venivano raccolte da ottobre in poi. Ma non si potevano mangiare sul momento: andavano fatte maturare in cantina. Poi, quando assumevano un colore marroncino, con le dita si sbucciavano, facendo però attenzione ai semi”. Il sorbo invece si presentava sotto forma di piccole mele. “Due o tre centimetri di diametro, una volta raccolte finivano sotto un letto di paglia per raggiungere la maturazione. In cucina servivano per le confetture, le salse e i liquori”.    

Ezio si ferma. “Come dimenticare la pera volpina? Dura e cattiva, con la buccia rugginosa. Al naturale era davvero difficile da mangiare. Eppure bastava poco per renderla deliziosa: cotta nell’acqua o nel vino, veniva traforata con la forchetta e quando il sapore diventava dolce, si trasformava in un frutto gradevolissimo”.

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