Home Dal giornale Il museo dei trattori di Filippo Giardi “accende” (idealmente) i motori

Il museo dei trattori di Filippo Giardi “accende” (idealmente) i motori

da Alessandro Carli

La risposta a una delle frasi più celebri della letteratura mondiale – “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate” è il nono verso del Canto III e fa riferimento all’iscrizione posta sulla porta dell’Inferno – è dipinta sulla parete di ingresso del Museo dei ricordi, un progetto che Filippo Giardi ha iniziato a pensare 15 anni fa e che entro la fine del 2024 verrà inaugurato. La poesia si intitola “Radghi” e gira così: “Da Cayboy e vèin Giardòun, / sal su radghi e tradizioun / e l’ha arcolt at sta cantèina / tota la vita cuntadèina, / per trasmeta, sa sti / arnés tot l’amòr / pri e nostr Paes”.

Tre lustri per vedere nascere una passione, un ricordo da donare alla comunità. “Assieme a Ezio Bartolini ho lavorato per realizzare il Museo della Civiltà Contadina e delle Tradizioni di Montecchio, sede del Consorzio Terra di San Marino” esordisce Filippo. “Alcuni oggetti esposti alla Casa di Fabrica li ho portati io”. Non un “doppione”, precisa Filippo, ma “un museo complementare” dove trovano spazio soprattutto “i trattori e i carretti antichi. Uno è datato 1850”. Sulle mensole attaccate alle pareti sono custoditi alcuni oggetti: “In alcune ho posizionato una serie di oggetti da falegname, in altre quelli che servivano a fare il vino, in altre invece gli arnesi per lo zolfo”.

Gli occhi di Filippo però si riempiono di luce quando incontrano i trattori: “Il più vecchio è dal 1924, il più recente degli anni Cinquanta. Li ho acquistati tutti in Italia” racconta mentre cammina verso un John Deere. “La prima caratteristica che salta agli occhi di queste macchine statunitensi è che sin dal primo modello prodotto i colori non sono mai cambiati: carrozzeria verde, scritte e ruote gialle. Dal punto di vista meccanico invece, se paragonate a quelle italiane, erano davvero all’avanguardia. Negli USA erano avanti di 20 anni rispetto a noi”.

Quasi tutti i trattori sono dotati di ruote. Quasi tutti. Qualcuno no. “Ho qualche modello cingolato, molto indicato per le zone collinari come le nostre, soprattutto dal punto di vista della sicurezza. Quelli a ruote sono a trazione posteriore e nei campi potevano creare qualche problema di stabilità. I cingoli invece hanno più superficie calpestabile e si muovono meglio tra le zolle e i calanchi”.  

Assieme ai John Deere, qualche modello italiano: Oto Melara, Cugini Randi (un’azienda artigianale di Bagnacavallo attiva nel comparto della produzione di macchine agricole, costituita alla fine della seconda guerra mondiale), Fiat (“Il modello 25R diesel del 1956 era di mio babbo, lo ha acquistato nell’anno in cui sono nato”), Landini. Il leggendario Landini “testacalda”, uno dei grandi tesori meccanici della motor-valley, l’Emilia-Romagna. Il motore a “testa calda” è così chiamato in quanto la combustione della miscela che avviene al suo interno è innescata dall’alta temperatura mantenuta in una parte della camera di combustione, la calotta, posta dentro la testa del cilindro. “Per metterlo in moto” racconta Filippo “serviva la fiamma”.

Prima di uscire, lo sguardo “si appoggia” su un tavolino in legno e una vetrina. “Ho pensato anche a uno spazio per i più piccoli: ho messo in esposizione una serie di trattori in scala e un angolo per giocare”. Sul tavolo appaiono un mini covone di paglia, un carretto miniaturizzato e un paio di locomotive storiche. “Locomotive a vapore, tutte funzionanti, che emettono il caratteristico pennacchio di fumo”.

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