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Pensioni: la riforma arriva in Aula, lo sciopero anima la piazza

da Daniele Bartolucci

La riforma delle pensioni arriva all’atto finale: martedì 15 novembre inizierà infatti la seconda lettura dell’atteso provvedimento, diventato a suo modo il punto di scontro tra Governo e sindacati, pronti a dare battaglia con lo sciopero generale proprio sul Pianello.

SINDACATI IN PIAZZA CONTRO IL GOVERNO

Uno sciopero che, in verità, non ha come motivazione principale la riforma previdenziale, di cui tra l’altro, i sindacati hanno condiviso gran parte in un percorso di confronti iniziati oltre un anno fa, ad eccezione di alcuni punti precisi: ovvero una più forte e incisiva garanzia sul contributo dello Stato per evitare il depauperamento repentino della riserva tecnica e la rivalutazione automatica delle pensioni erogate, che invece verrà limitata ad un 2,2% dal 2023 al 2027. E’ una delle novità emerse in Commissione Sanità, dopo che il Governo aveva proposto di introdurre un periodo transitorio, in cui fissare la rivalutazione annuale delle pensioni ordinarie all’1%. Ma forse potrebbe anche arrivare qualcosa in più: si vedrà durante il dibattito se si arriverà effettivamente a quel 3% che è l’aumento erogato dai contratti prima dell’Industria, poi dell’Artigianato e quindi recentemente anche dalle Assicurazioni ai lavoratori di questi settori. Ed è qui l’altro grande tema di scontro, perché ci sono diversi settori che hanno contratti scaduti da molto tempo, come quello del Settore Pubblico, che simbolicamente rappresenta un motivo di protesta contro la politica e il Governo, ovviamente. Lo hanno ben esplicitato i rappresentanti della Federazioni Pubblico Impiego Antonio Baciocchi (CSdL) e Milena Frulli (CDLS): “Oltre alla riforma delle pensioni, con lo sciopero, che sarà solo il primo atto di una mobilitazione dei lavoratori pubblici, vogliamo dare slancio al rinnovo del contratto della Pubblica Amministrazione scaduto da oltre dieci anni e che in questo quadro economico segnato dal caro energia e dal prepotente ritorno dell’inflazione diventa un tema non più rinviabile. La situazione non è più sostenibile e per questo dobbiamo far sentire la nostra voce e lanciare un messaggio forte e chiaro a Governo e forze consigliari”.

Ma anche i contratti delle Banche, dei Servizi e soprattutto del Commercio (su cui è già stato fatto lo sciopero nei giorni scorsi e probabilmente altri ne verranno disposti, stante lo stallo della trattativa con OSLA e USC, che per ora prosegue solo a suon di comunicati stampa) sono in attesa di un rinnovo che non arriva da diversi anni. Poi ci sarebbe anche l’altra riforma, quella del mercato del lavoro, ma dopo la sospensione dei provvedimenti che i sindacati avevano reputato “inaccettabili”, sembra sia sparito dai radar della protesta. Restano invece la questione tariffe energetiche e la prossima riforma fiscale, che è stata solo posticipata al 2023 e che a detta dei sindacati potrebbe penalizzare i redditi dei lavoratori.

LA RIFORMA E LE ALTRE PRIORITÀ

Al di là delle motivazioni sindacali, è indubbio che la riforma delle pensioni sia un’urgenza del Governo ma soprattutto per il paese. Da anni ormai se ne discute perché, numeri alla mano, non è più un sistema sostenibile: troppi pensionati e troppo pochi contributi a sostenerne gli assegni, con una prospettiva in netto peggioramento nei prossimi anni, visto che ci sono tantissimi lavoratori già oggi alla soglia dell’età pensionabile. Il meccanismo di “quota 103”, che viene introdotto in questa riforma, è uno degli interventi che dovrà rallentare questo peggioramento, così come lo sono gli interventi che perseguono come obiettivo il permanere quanto più possibile al lavoro, disincentivando il pensionamento precoce come invece avveniva (e fino ad una nuova legge, avviene ancora) in passato. Ma non basterà. Anche per questo si è deciso di intervenire sulle aliquote contributive e sull’età pensionabile, che per quanto di lieve entità (qualcuno l’ha definita “curare la febbre con l’acqua calda”) andranno comunque a pesare sulle nuove generazioni, che saranno chiamate a versare più contributi e per più anni di chi li ha preceduti. Questo almeno in linea teorica, perché la possibilità che questa prospettiva cambi, almeno in parte, è data dall’altra parte della riforma, che ancora non c’è: quella del Fondiss e, in generale, quella sulla governance dei fondi pensione. Due soluzioni che, in prospettiva, potrebbero dare maggiore redditività ai fondi e, quindi, anche una “dote” maggiore da portare poi negli assegni futuri, proprio per quanti oggi e domani saranno chiamati a versare di più e più a lungo.

“Un primo passo in avanti”, come ha commentato ANIS, lasciando intendere che la soluzione complessiva sia ancora da costruire, ma che alcuni correttivi vadano comunque nella direzione giusta. Come ad esempio la questione del tetto pensionistico, che ad oggi rappresenta un ostacolo importante per l’attrazione in territorio e nelle aziende delle figure manageriali di cui il sistema ha invece sempre più bisogno: il meccanismo introdotto dalla riforma, per quanto comunque ancora ben vincolato al principio della solidarietà, dovrebbe far recuperare in parte quei contributi versati, anche se le percentuali in gioco sono ancora minimali.

Ma non c’è solo la riforma delle pensioni in agenda, perché da tempo le priorità del sistema sammarinese sono tante e ormai tutte urgenti, a iniziare dalle politiche energetiche: tema caldissimo dopo l’annuncio di aumenti tariffari superiori al 100%, ma per ora sospesi (l’Autorità dovrebbe comunque deliberare proprio in questi giorni), che si sposa al piano di investimenti – sollecitato da ANIS a più riprese – per produrre energia in loco e rendersi maggiormente autonomi. In sintesi, competitività, quella che il sistema e soprattutto le imprese rischiano di perdere se non ci saranno interventi strutturali e lungimiranti: due aggettivi che accomunano altri passaggi che San Marino sta affrontando, ovvero la messa a regime delle cartolarizzazioni bancarie per superare la problematica dei NPL e soprattutto l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea (che si dovrà chiudere entro il 2023) e l’introduzione dell’IVA, che le imprese che operano sui mercati internazionali attendono da anni, ma anche lo Stato, che avrebbe di fatto un’entrata più efficace ed equa. Due scelte, di fatto, che non possono essere più rimandate.

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