Home categorieCultura Visto per voi a teatro: la prima serata di Santarcangelo 2021

Visto per voi a teatro: la prima serata di Santarcangelo 2021

da Alessandro Carli

Nessuno poteva prevederlo e nemmeno scritturarlo, drammaturgizzarlo, dargli i tempi di entrata in scena. Protagonista della prima serata di Santarcangelo Festival 2050 “atto terzo” (il primo si è avverato lo scorso luglio, il secondo, mascherato e covidizzato, a dicembre 2020), giovedì 8 luglio, è stato il vento, caldo, sparato come un phon che poi, con l’avvicinarsi della notte, si è rinfrescato.

Si è salvato dall’Eolo africano il Collettivo Corps Citoyen, impegnati nella sala chiusa del Supercinema con Gli altri, un “quasi monologo” totemizzato sulla figura (e sulla bella espressività) di Rabii Brahim, attore tunisino trapiantato in Italia e chiamato a svolgere un provino per ottenere una parte. L’apparente e iniziatico buonismo della voce dell’intervistatrice – rigorosamente fuori campo – progredendo si trasforma in un processo ricolmo di luoghi comuni: non tanto a Rabii (il suo nome, in arabo, significa “primavera”) ma al suo popolo. Una parziale rivisitazione, perlomeno nel ritmo delle battute e nel sottotesto, del Il Dio del massacro di Yasmina Reza, che però sviluppa ben presto sua personale e interessante drammaturgia: l’azione si svolge su un palcoscenico (come in Venere in pelliccia di Roman Polanski) e Rabii è chiamato a esibirsi in una prova di canto tunisino, in una interpretazione di un monologo di Heiner Müller, in una scena dell’Otello scespiriano (ma in arabo) e in un frammento del film C’era una volta il west. Un lavoro che, se espuriato di qualche passaggio poco incisivo e abusato a teatro (la telecamera puntata sul pubblico e sul palco un attore che fa scivolare i fogli con le scritte “sorridi”, “stai dritto con la schiena”, eccetera), può rappresentare davvero una fresca, nuova e piacevole proposta.  

Vento che ha dato una bella mano a BOGA (Pezzi elementari per l’incendio del tempio), performance firmata da Cristina Kristal Rizzo e che vede in scena anche il percussionista Enrico Malatesta in una piazza, precisamente la “Ganganelli”, tornata ad essere agorà anche artistica. Vento che ha ricreato un grandioso effetto visivo, sparpagliando i fumi colorati di alcuni candelotti a miccia, metronomo di una serie di quadri che rievocano – non sempre con incisività – le tribalità rurali dei paesini della Malesia, dell’Indonesia e delle Filippine. Un rito iniziatico del Festival 2021, con strumenti a percussione (canne di bambù, oggetti metallici scagliati sul pavimento, un gong)  beneaugurante e forse poco comunicativo: sembra più creato per la Rizzo stessa che per il pubblico.

Un fondale bianco, abbacinante e funzionale – le fattezze di Ondina Quadri (foto di Daniele Fona), posizionata in scena come una Dea greca sono quasi indefinite e nascoste dall’oscurità – accoglie il pubblico di Emilio, spettacolo creato dalla stessa Quadri e da Alexia Sarantopoulou (che verso la fine legge alcune parole, forse dello stesso Rousseau) e allestito nel cortile della scuola Pascucci. L’impatto iniziale è micidiale: un “Fanciullo con canestro di frutta” di Caravaggio che richiama, nella capigliatura, il David Bowie cotonato e che propone, si legge nella presentazione, una rilettura dell’omonimo testo di Jean-Jacques Rousseau. Poi però, purtroppo, l’assolo inizia, lentissimo come un carillon. L’attrice, nuda, per un’ora fa un po’ la pittrice e un po’ l’alchimista, dapprima mangiando qualche frutto e sputando i semi (un lama e non una lama che taglia) e poi succhiando da alcune cannucce una serie di liquidi colorati che poi travasa da un recipiente all’altro. Nuance rosa e azzurrine, gialle, che le scivolano addosso, che fa scorrere sul suo corpo, senza macchiare e senza lasciare un segno.

Gli applausi scroscianti degli spettatori alle due attrici sono solo un rito che dice poco sulla qualità di questo Emilio: lo fanno anche le foche…   

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