Home NotizieSan Marino Rappresentatività, al centro ci devono essere sempre i lavoratori

Rappresentatività, al centro ci devono essere sempre i lavoratori

da Redazione

Mantenere l’efficacia erga omnes dei contratti è fondamentale per i lavoratori, ma occorre sancire con chiarezza il principio della rappresentatività proporzionale, il cui unico riscontro reale è il pagamento della quota volontaria di adesione da parte degli iscritti alle organizzazioni sindacali.

 

SAN MARINO – Il tema della rappresentatività è una questione che merita di essere discussa a fondo ai vari livelli se produce risultati significativi per i lavoratori, che sono gli unici titolari del diritto e gli unici arbitri dell’azione sindacale. Ovviamente in un ordinamento democratico possono esistere più sigle sindacali; detto ciò, la storia in ogni parte del mondo ha però dimostrato che è stata l’unità del movimento sindacale, e non la sua frammentazione, a conquistare le migliori condizioni di lavoro e i livelli più avanzati di diritto per i lavoratori.

Nel nostro paese da alcuni anni esiste una terza sigla sindacale che si è posta come alternativa ai due sindacati storici, da loro bollati come vecchi e anacronistici; però questa organizzazione vuole sedersi ai nostri stessi tavoli negoziali, e per di più con la pretesa di avere il medesimo peso contrattuale; anche questa è una stridente contraddizione che deve essere chiarita una volta per tutte.

Per di più, per loro il sindacato storico di fatto è una controparte, e questa è la cosa più innaturale che possa esistere nella rappresentanza del mondo del lavoro. Le controparti naturali di chi dovrebbe rappresentare i lavoratori sono altre, le associazioni di categoria, e non certo le organizzazioni sindacali sammarinesi storiche, che sono quelle che in decenni di lotte democratiche hanno realizzato grandi conquiste nel campo dei diritti, dello stato sociale e della stessa democrazia. La terza sigla ha una visione di sindacato completamente diversa dalla nostra; ha il diritto di esprimerla, ma si deve rapportare con gli interlocutori naturali che sono disposti a farlo.

Circa il grado di rappresentanza dei lavoratori, il primo riferimento non può che essere l’adesione volontaria alla organizzazione sindacale: l’unico riscontro reale della iscrizione al sindacato, come avviene in tutto il mondo, è il pagamento della quota volontaria di adesione, certificato da una parte terza. Ebbene l’USL da sempre sfugge a questo principio basilare, alterando così le regole del gioco; considera proprio iscritto anche chi ha semplicemente sottoscritto un mandato di rappresentanza per una vertenza sindacale di qualunque natura. Pertanto, è del tutto impossibile stabilire quanti siano gli iscritti veri.

Il numero degli iscritti serve a determinare la rappresentanza reale dei lavoratori, a partire dalla sottoscrizione dei contratti di lavoro, così come la ripartizione della quota di servizio, lo 0.40%. Il fatto di non aver firmato nessun accordo anche su questo aspetto, la dice lunga sulla democraticità dell’USL. La terza sigla vorrebbe contare come le organizzazioni storiche, in barba ad ogni principio di rappresentatività democratica; mantenere l’efficacia erga omnes dei contratti è fondamentale per i lavoratori. Le condizioni contrattuali, che vengono applicate a tutti i lavoratori, e le procedure democratiche per la loro condivisione (referendum), devono essere il vero “dogma” di ogni norma sulla rappresentatività.

Nella recente vicenda del contratto industria firmato con l’ANIS, l’USL ha di fatto condiviso i contenuti contrattuali, ma non ha posto la propria firma perché contraria all’accordo sulla rappresentatività, basato sul principio democratico della proporzionalità. Preoccupati per i loro interessi particolari, hanno perso l’occasione di dare un contributo al consolidamento dei diritti dei lavoratori. Anteponendo quindi i loro interessi di organizzazione a quelli dei lavoratori hanno dimostrato i loro veri obiettivi, che non sono certo quelli di fare gli interessi generali del mondo del lavoro; vogliono sedersi ad un tavolo negoziale nel quale non sanno cosa dire, se non che il loro modello di riferimento è quello tedesco, dimostrando peraltro di non conoscerlo affatto.

Un altro principio fondamentale di democrazia e di rappresentatività reale, che mette sempre al centro chi lavora, è quello del consenso dei lavoratori; infatti da decenni la CSU sottopone i contratti firmati a referendum tra tutti i lavoratori del settore di appartenenza, in quanto sono soltanto loro i titolari del diritto a decidere quali risultati siano accettabili e quali no, e chi li rappresenta e chi no. Di referendum tra i lavoratori, da parte dell’USL non abbiamo mai sentito parlare…

È evidente che anche le piccole organizzazioni possono partecipare ai tavoli negoziali, ma non possono avere la pretesa di contare quanto e anche più delle organizzazioni più grandi, tanto più in un sistema come quello che produce contratti con validità erga omnes. Vanno quindi fissate delle regole, costruite attorno al principio cardine che sono i lavoratori, in senso collettivo ed individualmente, gli unici titolari del diritto. In conclusione direi che è ora di fare cose serie; l’USL decida di avere aderenti veri, come hanno tutti gli altri sindacati d’Europa e del mondo, di avere dirigenti propri e non “importati” dalla UIL, e soprattutto tiri fuori finalmente questo “nuovo sindacato” che dice di voler realizzare, ma da sola, senza attaccarsi al modello sindacale che loro stessi dicono di voler combattere.

 

Giuliano Tamagnini – Segretario Generale CSdL

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