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Scoprirsi saggi quando si vuol essere d’aiuto

da Simona Bisacchi

Quando parliamo dovremmo ascoltarci. Le parole che pronunciamo raccontano di noi molto più di quello che noi ammettiamo su noi stessi.

Ci scopriamo saggi, quando il nostro unico obiettivo è essere d’aiuto.

Ci scopriamo ambigui e ipocriti, quando vogliamo dare un’idea di noi che non corrisponde a quello che realmente pensiamo.

Ci scopriamo crudeli, quando ci sentiamo offesi, raggirati.

Ci improvvisiamo silenziosi, quando cerchiamo di non reagire. Ma anche quando – purtroppo – non giudichiamo alla nostra altezza l’interlocutore che abbiamo davanti.

Perché le parole sono una miriade di cose.

Sono una poesia. Un consiglio. Una notizia. Una bugia.

Sono una preghiera. Un racconto spaventoso. Un rumore.

Sono un abbraccio. Una cura.

Sono una vendetta.

E troppe volte dimentichiamo che sono una responsabilità.

Quello che diciamo prima o poi verrà a chiederci il conto. Arriva sempre il momento in cui ti fermi e ti chiedi se sei stato coerente. Se l’insegnamento che hai dato a tuo figlio sei riuscito a metterlo in pratica. Se il consiglio suggerito a un amico, sei riuscito a seguirlo quando è stato il tuo turno. Ti chiedi se la bussola che indicava la direzione in modo così preciso e netto, quando si trattava della meta di qualcun altro, non sia diventata improvvisamente confusa e opinabile quando sulla barca in tempesta c’eri tu. D’altronde le parole sono così. Escono con facilità. E tutte le nostre dichiarazioni – d’amore, di guerra, d’intenti – sono progetti che noi tracciamo, che aspettano di essere concretizzati, e non possiamo stupirci se poi ci martellano insistentemente. Una volta pronunciate, quelle dichiarazioni siamo costretti a viverle, a metterle in pratica in prima persona. È per questo che “io giuro”, “io prometto” sono frasi che andrebbero usate con cautela o evitate, perché quando ti esponi con parole così forti, altrettanto forti – lunghe e dispendiose – saranno le manovre da fare per tornare sui tuoi passi. 

Le parole sono matite colorate con cui noi tratteggiamo la vita, a ogni istante. Ed è vero che un segno di matita si può cancellare, ma a volte nemmeno ricordiamo di averlo fatto quel disegno e ci ritroviamo un quadro in casa e non sappiamo dove appenderlo e non ci piace nemmeno tanto, e alla fine lo mettiamo in soffitta. Ma se il quadro non è più solo uno, ma sono due, cinque, trenta e poi cento, la soffitta comincia a essere così piena di cose inutili che non sai più come farci stare quelle utili. Così è quando riempiamo la nostra testa, la nostra mente, di commenti, condanne e risatine pronunciati con la leggerezza con cui si beve un tè, e mai smaltiti, mai espiati.

Ci sentiamo in diritto di arrabbiarci quando un amico ci dà un consiglio non richiesto, mentre noi ne abbiamo distribuiti come caramelle a carnevale a chiunque, senza chiederci se qualcuno fosse allergico allo zucchero.

Pretendiamo che le persone si comportino bene con noi, anche se noi li critichiamo alle loro spalle.

Ci irritiamo quando qualcuno non capisce le nostre spiegazioni, e ci dimentichiamo di tutte le lezioni che maestra vita ci ha pazientemente ripetuto, per farci scendere dal piedistallo a piccoli passi, senza cadere rovinosamente al suolo.  E se vogliamo essere di sostegno a qualcuno, ricordiamogli che “non, si male nunc, et olim sic erit” (“se le cose vanno male ora, non sarà così per sempre”), come scrive il poeta Orazio. Tenendo presente che le parole che usiamo sono in primis un insegnamento per noi. Un incoraggiamento e un monito. Perché quello che diciamo agli altri, prima o poi dovremo ricordarlo a noi stessi.

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