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Le tante radici dialettali del poeta Checco Guidi

da Alessandro Carli

Cambia il formato ma non il cuore, l’essenza: in “Radghi” (Radici, “Alla ricerca della memoria perduta”) il poeta Checco Guidi fa un ulteriore passo verso l’Heimat, la “casa”, la “piccola patria” della sua lingua dialettale. Le poesie quindi diventano voce, immagine, presenza, in un viaggio immaginifico e sublime tra i luoghi della Repubblica di San Marino. Il dvd difatti, che vede le riprese e il montaggio video DVFPRO e la firma di Mirko Mancini per quel che riguarda i servizi e gli impianti, “raccoglie” lo stesso poeta impegnato e decantare e interpretare le liriche che ha scritto in passato. E, come già accaduto per ogni suo impegno artistico, parte del ricavato delle vendite andrà in beneficenza, in particolare alla Fondazione Centro Anch’io di San Marino.

“È una raccolta di 31 poesie e hanno lo scopo di riportare i lettori, come spiega il sottotitolo, alla ricerca di una memoria collettiva che stiamo perdendo” racconta Checco Guidi. “Sono liriche che parlano della nostra terra intesa come ‘valore’ e come ‘tradizioni’ quindi per capire da dove veniamo. Le riprese sono state effettuate in giro per il territorio: ci siamo fatti ‘trasportare’ dai titoli e dal cuore delle composizioni, dai temi trattati e sviscerati, accennati, tratteggiati”. Da Palazzo Pubblico (che si trova in “La bandjira”) al trenino Bianco-Azzurro, ma anche la Chiesina della Torraccia, la Croce di Domagnano, il campanile di Serravalle, Via Fiordaliso, il Museo dell’Emigrante. “Ne usciranno almeno mille copie, e sono già stato contattato dalle comunità sei sammarinesi all’estero che hanno prenotato diverse stampe” aggiunge Checco.

Troviamo anche “Viandint”, un componimento di straordinaria attualità. “In questa poesia che ho scritto ‘In fin di cunt a sém tot pelegroin, viandint pin d’entusiasmi ch’i circa la su strèda… chi s-chélz, chi s’i sàndli, chi sli schérpi at pèla, u s va vèrs una méta’. Quindi i ‘viandanti’ di oggi siamo tutti noi in cammino verso un traguardo che oggi purtroppo ci sembra sempre più incerto e lontano. A volte sembriamo più ‘vagabondi’ piuttosto che ‘viandanti’ e la differenza è grande: il vagabondo cammina senza una meta precisa e si perde spesso lungo tanti sentieri, il viandante o pellegrino affronta una strada ben sapendo dove quella strada lo porterà”. 

Il cofanetto è impreziosito da due disegni a matita fatti dallo stesso poeta: “Il primo, in copertina, ritrae mia madre Natalina in una vecchia foto degli anni Sessanta del secolo scorso; il secondo (in quarta di copertina) invece vede mio nonno materno Archimede detto ‘Rusoin’ e lo zio materno Marino seduti sullo scalino in pietra davanti a casa negli anni Cinquanta”.

Il dialetto sino agli anni ‘50 “era veramente ancora l’unica lingua parlata. I maestri a scuola ci sgridavano molto perché non riuscivamo a parlare in italiano e soprattutto a scrivere in italiano. Ci dicevano che il dialetto doveva abbandonarlo. Per loro significava ignoranza, mondo contadino. Però, va detto che in questi ultimi anni c’è una rivalutazione del dialetto. Ed è importante per mantenere una testimonianza delle radici di determinati territori all’interno della globalizzazione che tende a uniformare le identità originarie”.

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