Home Notizie del Giorno San Marino, visto per voi a teatro: “La buona novella” con Neri Marcorè

San Marino, visto per voi a teatro: “La buona novella” con Neri Marcorè

da Alessandro Carli

Il problema della conversione a spettacolo teatrale de “La buona novella” – meraviglioso concept album di Fabrizio De André del 1970 tratto dai Vangeli apocrifi (“nascosti”) – è “La buona novella”.

Stesso regista del 2001, Giorgio Gallione (che a inizio secolo diresse Claudio Bisio con Lina Sastri e Le voci atroci mentre oggi – il 30 aprile sulle assi del Teatro Nuovo di Dogana di San Marino – i protagonisti sono stati Neri Marcorè e Rosanna Naddeo) e medesime difficoltà nel “rendere in forma scenica” un disco che ha certamente un’impronta drammaturgica (due atti come i due lati del vinile; il primo dedicato all’infanzia di Maria, il secondo alla morte di Cristo) ma che “tende” a rimanere “nei solchi”.

Un’ora e 20 minuti di atto unico davanti a una platea gremita sino all’ultima fila (che bello vedere il teatro pieno!), un solo applauso durante la mise en scene (al termine de “Il testamento di Tito”, il pezzo più conosciuto dell’ellepì) e un “tradimento” iniziale che deve però essere letto come licenza poetica: l’esecuzione di “Si chiamava Gesù” (“Volume 1”). Come accaduto per “I giganti della montagna” di Pirandello – opera straordinaria sul libro ma che ha fatto cadere più di un regista a causa della sua complicata realizzazione scenica -, anche per “La buona novella” il “risultato” non è da inserire tra gli spettacoli da ricordare, complice un’interpretazione a tratti meccanica e troppo recitata di Neri Marcorè – quindi poco spontanea, poco fluida, quasi fosse più attento a ricordare le parole che a dirle, a pronunziarle, a dargli “vita” – e a una debolezza trasversale del cast (Rosanna Naddeo non regge il confronto con Lina Sastri; bene invece Giua), che – nonostante la grade professionalità e bravura nell’esecuzione dei pezzi, risulta “sormontato” dalle scenografie naif di Marcello Chiarenza.

Quello che rimane nelle orecchie e nel cuore sono però le parole di Fabrizio, la “rivoluzionarietà” del suo lavoro, uscito quando la polvere delle rivoluzioni sessantottine era ancora nell’aria, quando a 30 anni uscì con un lavoro assoluto, profondissimo, meraviglioso. E se per far avvicinare il pubblico al suo capolavoro (per la parte musicale Faber si avvalse di musicisti assoluti: Angelo Branduardi al violino, Maurizio Fabrizio che suonava la chitarra classica e una band-rock che si chiamava I Quelli, composta da Di Cioccio alla batteria, Mussida alle chitarre, Piazza al basso, Premoli alle tastiere e Mauro Pagani al flauto ovvero la futura Premiata Forneria Marconi) occorre passare anche per “La buona novella” teatrale, l’auspicio è che ci siano mille repliche e mille ancora.     

Alessandro Carli

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