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Pensioni insostenibili, peggiorati ancora tutti gli indicatori

da Daniele Bartolucci

Mentre la riforma delle pensioni continua ad essere spostata in avanti nel tempo (siamo arrivati alla fine del 2021 senza un progetto finale e condiviso, con l’obiettivo di produrlo nel 2022), i numeri del sistema previdenziale continuano a peggiorare di anno in anno.

Il saldo tra entrate e uscite è negativo da diversi anni e il divario aumenta considerevolmente, ormai in tutti i settori, ma soprattutto diminuisce il rapporto tra lavoratori attivi (che versano contributi) e pensionati (che percepiscono l’assegno mensile in base alle attuali regole nonostante spesso i loro versamenti siano stati basati su regole ben diverse da quelle attuali).

I FONDI PENSIONE VANNO IN NEGATIVO

 “La gestione ordinaria di tutti i fondi ha registrato saldi negativi”, si legge nella Relazione Economico Statistica allegata alla Legge di Bilancio per il 2022, “tranne per quelli di liberi professionisti e imprenditori, che contano però soltanto per una piccola frazione sul totale. Il saldo del fondo dei lavoratori subordinati ha subito, nel corso del 2020, una variazione negativa importante passando da € -9.467.147 a € -21.664.960 (a questo dato, però, si deve aggiungere il contributo dello Stato per € 27.000.000, ndr). Il fondo dei lavoratori autonomi, istituito con la Legge n.158 del 2011, ha registrato per la prima volta dal 2012 una chiusura con saldo negativo”. 

Nello specifico, il fondo Commercianti ha evidenziato un passivo di € -5.874.962 generato da entrate per € 1.461.640 e uscite per € 7.336.601; quello Artigiani un passivo di € -5.153.326 (entrate per € 1.869.294, uscite per € 7.022.620); quello Agricoltori un passivo di € -240.405 a fronte di € 825.860 di entrate e di € 1.066.264 di uscite; quello degli Autonomi un passivo di € -2.006.003 a fronte di € 16.850.053 di entrate e di € 18.856.056 di uscite.

A questo si deve aggiungere che “il rapporto tra numero di occupati e pensionati è in costante diminuzione, nel 2020 si assiste, oltre che ad un aumento dei pensionati, ad una diminuzione del numero di occupati, portando tale rapporto a 2,07”, quando, per un calcolo prettamente matematico, il rapporto di equilibrio sarebbe almeno di 3 lavoratori attivi per ogni pensionati. Un dato che, salvo correttivi, potrà solo peggiorare, visto che “l’indice di ricambio, che stima il rapporto tra coloro che stanno per uscire dalla popolazione potenzialmente lavorativa (ovvero in fascia d’età 60-64 anni) e il numero di quelli potenzialmente in ingresso sul mercato del lavoro (fascia d’età 15-19 anni), si presenta in crescita, e quindi in peggioramento, rispetto il periodo precedente”.

“Una riforma del sistema previdenziale diventa quindi uno degli obiettivi principali da attuare prontamente”, avvertono i tecnici che hanno elaborato la Relazione, “poiché la massa di lavoratori che dovrà attingere dai fondi pensione nei prossimi anni sarà in continuo aumento, mentre le consistenze dei fondi sono già ad oggi sotto capitalizzate”. Non solo: “I sistemi di welfare europei sono sottoposti già dal finire degli anni Settanta, e ancor più dai primi anni Novanta, a forti stress che derivano dalle profonde trasformazioni del mercato del lavoro, dalla globalizzazione dell’economia e dei mercati finanziari, dalla mutata struttura della popolazione, da esigenze di contenimento della spesa pubblica. Non tutti hanno mostrato lo stesso grado di resilienza nel fronteggiare le sfide legate ai nuovi rischi sociali, contraddistinti da un più elevato livello di incertezza e da mutati contesti di vita familiare e lavorativa. Perciò”, spiegano gli esperti, “anche a San Marino, la questione previdenziale assume oggi una rilevanza maggiore rispetto al passato in quanto il sistema a ripartizione che governa la previdenza sammarinese paga pensioni per un periodo mediamente più lungo, a causa dei suddetti motivi”.

AUMENTANO I PENSIONATI E LE PRESTAZIONI MEDIE

A livello numerico gli aumenti sono generalizzati: il numero di pensioni in generale (vedi tabella al centro) è passato dalle 9.117 del 2010 alle 11.983 del 2020. Ma è un dato già vecchio perché, a causa anche di molti prepensionamenti, “da gennaio a settembre 2021 si sono registrati complessivamente 501 nuovi pensionamenti, 11 unità in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+2,24%)”.

Si può dunque ipotizzare come realistico il superamento della soglia 12.500 entro l’anno. 

Ma non è solo il numero dei pensionati (e delle pensioni, che sono di più) ad aumentare, bensì anche le prestazioni, allineandosi all’aumento del reddito da lavoro degli ultimi decenni (il sistema retributivo calcola la prestazione in base a tale dato): infatti, spiegano i tecnici che hanno elaborato la Relazione Economico Statistica di quest’anno, anche “l’importo medio per pensionato aumenta ogni anno, nell’ultimo anno l’incremento è del +0,18%, passando a € 18.268”.

VAGNINI (ANIS): “È UNA DELLE PRIORITÀ”

“La riforma delle pensioni è una delle priorità su cui abbiamo posto l’attenzione da tempo”, ribadisce il Segretario Generale di ANIS, William Vagnini, “perché il sistema attuale non è sostenibile né economicamente, stante il saldo negativo tra entrate e uscite, né socialmente, visto che rischia di scaricarne il peso, oltre che sul Bilancio dello Stato, soprattutto sulle future generazioni di lavoratori. Siamo già in forte ritardo e più tempo passa più la situazione sarà difficile, come confermano anche gli ultimi dati”, avverte quindi Vagnini. Il tempo stringe, ma siamo ancora alle fasi preliminari del confronto: “Come ANIS avevamo proposto di sfruttare i primi mesi del 2021 per completare il progetto di riforma e vedere i primi effetti già a partire dal 2022. Serviva – e serve ancora di più oggi – un’assunzione di responsabilità da parte di tutti, ma anche la necessaria determinazione per raggiungere un obiettivo condiviso in tempi certi. Purtroppo”, ammette Vagnini, “abbiamo accumulato ulteriore ritardo. Ricordo che anche i vari Segretari di Stato che si sono succeduti alla guida della Sanità negli ultimi dieci anni avevano elaborato delle proposte di riforma del sistema pensionistico che però si sono infelicemente arenate mentre nel frattempo, come era stato ampiamente previsto dalle analisi che questo Governo e i precedenti avevano predisposto nel corso degli anni, la situazione è ulteriormente peggiorata”. Tali analisi hanno messo in luce tutte le criticità dell’attuale sistema previdenziale e le problematiche a iniziare dal rapporto lavoratori/pensionati che è diminuito costantemente. Senza considerare il ricorso sempre più frequente ai prepensionamenti. Questo sbilanciamento”, prosegue quindi Vagnini, “si riflette anche sulla dinamica economica, perché i nuovi pensionati, grazie all’aumentata aspettativa di vita, avranno in genere garantita la pensione per molti più anni di quanti hanno sostanzialmente pagato con i propri contributi. Stiamo parlando nel caso di 60enni, di 20-30 anni di pensione, quando con l’attuale sistema retributivo, hanno versato contributi sufficienti a coprirne a malapena circa 15. È chiaro che questo sistema non è sostenibile, né oggi né in prospettiva. Anche per questo, la scelta di passare finalmente al contributivo va valutata con obiettività e non, come traspare dagli incontri di questi mesi, scartata a priori”.

“SERVE MAGGIORE RESPONSABILITÀ”

“Sono cambiamenti di portata epocale per San Marino, i suoi cittadini e le sue imprese, ma occorre avere un approccio più pragmatico e meno ideologico, altrimenti non si arriverà mai a una soluzione equilibrata. Il punto di partenza è proprio questo, l’equilibrio: un nuovo patto generazionale tra chi è già in pensione o ci sta per andare e quanti invece hanno ancora tanti anni di lavoro davanti o ancora devono iniziare. Fino ad oggi abbiamo scaricato tutto sulle generazioni successive, penalizzando non solo questi lavoratori – che versano di più, per più anni e con la prospettiva di ottenere di meno in futuro – ma anche tutta l’economia, che è legata a queste dinamiche. Di fronte a tutto ciò, ogni resistenza, veto ideologico o meno, rischia solo di apparire come la difesa di rendite di posizione o privilegi a danno di una parte del Paese, anzi, la parte attiva della popolazione. Non è accettabile e invitiamo tutti a dare prova di responsabilità, a iniziare dalla politica e dai sindacati”, avverte Vagnini.

GLI INTERVENTI IN DISCUSSIONE

Come noto, le previsioni sono molto preoccupanti: si parla dell’esaurimento della riserva tecnica in meno di un decennio e un disavanzo tra contributi incassati e pensioni erogate destinato ad aumentare esponenzialmente. “Per questo occorre agire urgentemente per riportare su livelli di sostenibilità tutto il sistema”, avverte il Segretario Generale di ANIS, “partendo dai dati e dalle proiezioni dei singoli interventi, che i tecnici stanno elaborando”.

“Una delle modifiche in discussione”, spiega quindi Vagnini, “è l’innalzamento dell’età pensionabile per allinearla all’aspettativa di vita, con una nuova ‘quota 103’ che permetterà di spostare in avanti di qualche anno la durata della riserva tecnica e di fare in modo che alcuni interventi della riforma producano i primi effetti. Nel frattempo vanno attuati altri e progressivi interventi per aumentare il capitolo di entrata. In tal senso, oltre ad una migliore gestione del patrimonio (anche unificando quella dei Fondi Pensione e di FONDISS), capace di garantire rendimenti migliori degli attuali, si dovranno compiere delle scelte precise sulle aliquote contributive. Premesso che, per equità, allora andranno riviste anche le pensioni erogate, come ANIS abbiamo ribadito che lo sviluppo economico deve essere l’obiettivo di qualsiasi intervento, a maggior ragione per una riforma che coinvolge trasversalmente diversi ambiti: per questo motivo anche tali scelte andranno calibrate in maniera tale da non penalizzare le imprese, perché si otterrebbe l’effetto contrario a quello auspicato. Al contrario, anche nell’ottica dei rinnovi contrattuali, si può ipotizzare che eventuali aumenti vengano vincolati proprio a beneficio del sistema previdenziale”. Nello stesso tempo, “con l’avvento dell’ICEE, le aliquote che attualmente coprono gli assegni familiari o altri strumenti potrebbero risultare oltremodo capienti e quindi una parte di esse potrebbe venire trasferita ai fondi pensione”. L’altra leva ipotizzata dai tecnici è il potenziamento del FONDISS, l’unico sistema a capitalizzazione puro, “anche permettendo e agevolando fiscalmente la contribuzione volontaria, come richiesto dal Comitato Gestore più volte”, aggiunge Vagnini.

Altri interventi possibili riguardano i pensionati-lavoratori e il tetto ai manager: nel primo caso si tratta di superare un divieto come fatto da tutti i sistemi previdenziali moderni, nel secondo caso, invece, “non è solo un anacronismo”, avverte Vagnini, “ma un vero ostacolo per tutte le aziende che ricercano figure di alto profilo per ricoprire i ruoli di vertice delle proprie strutture. Il principio della solidarietà va mantenuto, ma va riequilibrato per non penalizzare solo una categoria di lavoratori e per ridare competitività al sistema sul fronte dell’attrattività”. “I diversi interventi di riforma, i cui risultati auspichiamo non vengano resi inefficaci dalla paventata introduzione dei lavori usuranti”, aggiunge il Segretario Generale di ANIS, “potrebbero comunque non bastare a riequilibrare il sistema previdenziale, anche per questo vanno sostenuti da una forte accelerazione allo sviluppo economico, attraverso una strategia complessiva di rilancio del Paese”.

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