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Aumentano età e aliquote, scende il tasso di sostituzione

da Daniele Bartolucci

Aliquote contributive più alte del 6%, ma spalmate nell’arco di 6-7 anni e suddivise tra lavoratori e datori di lavoro; progressivo passaggio da “quota 100” a “quota 103” e diversi interventi volti all’incentivazione della permanenza al lavoro più a lungo possibile (e disincentivi nel senso opposto); modifica del calcolo sui 30 anni di contribuzione e non più sui 20 attuali; recupero di una quota dei contributi eccedenti il tetto per i redditi più alti (dirigenti e manager). Sono questi alcuni dei temi principali della riforma del sistema previdenziale, che prosegue la sua gestazione in vista dell’approvazione entro il 2022, “perché sia operativa già dal 1° gennaio del 2023”, assicura il Segretario alla Sanità Roberto Ciavatta. A tal fine, è stato depositato il testo del progetto di Legge, “anche se è ancora una bozza, suscettibile di modifiche, su cui stiamo ragionando da un anno con le parti datoriali e sindacali, oltre che maggioranza e minoranza”. Modifiche, quindi, che potranno trovare realizzazione dopo la prima lettura nel prossimo Consiglio Grande e Generale di settembre, ovvero nella conseguente Commissione Sanità. Il tutto per approdare come testo finale di nuovo in Consiglio per la seconda lettura e l’approvazione definitiva entro la fine dell’anno. Presumibilmente, quindi, nella seduta di ottobre-novembre, visto che a dicembre ci sarà la convocazione-fiume sulla Legge di Bilancio. Nel frattempo, con la stessa tempistica, dovrebbe arrivare anche la riforma del mercato del lavoro, su cui proseguono serrati gli incontri tra le parti, dopo la presentazione dell’elaborato alle categorie economiche e ai sindacati nei giorni scorsi. “Due riforme che si integrano in più parti”, ha spiegato Ciavatta, “e anche per questo dovranno entrare in vigore insieme”.

“CALCOLO VANTAGGIOSO PER CHI VA ORA”

Se l’obiettivo della riforma è “garantire una migliore sostenibilità dell’intero sistema pensionistico e una maggior adeguatezza delle prestazioni previdenziali a tutti i lavoratori”, come scrive lo stesso Ciavatta nella relazione accompagnatoria del progetto di Legge, è altrettanto vero che si allontana sempre più la parità di trattamento tra le generazioni di lavoratori. “La messa a regime delle varie riforme, compresa questa, avverrà tra molti anni, quindi ci aspettano periodi molto delicati, perché chi va in pensione ora lo fa secondo la legge del 1983, quindi con calcoli molto vantaggiosi. Stiamo parlando di classi di lavoratori molto corpose, quando il tasso di natalità era migliore di oggi, per cui stimiamo circa 600 nuovi pensionati all’anno. Anche per questo il disavanzo che si è creato tra entrate e uscite, che oggi vale già 75 milioni di euro, è destinato a salire”.

Ed è per questo, in pratica, che urgono correttivi, lascia intendere Ciavatta, come l’innalzamento dell’età pensionabile e l’aumento delle aliquote. Un aumento generalizzato che, comunque, non sembrerebbe per il momento così pesante come direbbero i bilanci e le proiezioni. “Ci sono infatti altri interventi che riteniamo altrettanto importanti, come la possibilità di restare al lavoro per più anni, che verrà incentivata, e il riordino delle decontribuzioni che nel tempo hanno sì favorito l’occupazione, ma poi sono andate a gravare sui fondi pensione. E stiamo parlando di ammanchi considerevoli”.

TASSO DI SOSTITUZIONE SEMPRE PIÙ BASSO

“Non potendo incidere sulle leggi precedenti”, avverte quindi Ciavatta, “ancora per molti anni avremo pensioni che sugli stipendi bassi saranno uguali al 100% dello stipendio, ma i versamenti effettuati da questi lavoratori saranno stati molti meno”. Da qui la riformulazione del calcolo retributivo, perché la scelta, va precisato, è quella di mantenere tale sistema e non quella di passare al contributivo come fatto in Italia a metà degli anni ’90. Nel testo depositato si prevede infatti che il calcolo del reddito di riferimento del lavoratore sarà basato su 30 anni contributivi (nel 2005 era sugli ultimi 10 anni, nel 2011 sugli ultimi 20), con “l’obiettivo”, spiega Ciavatta nella relazione, “di valutare concretamente ed equamente l’effettiva posizione retributiva del pensionando, evitando distorsioni nelle dichiarazioni dei redditi e riducendo l’impatto negativo sulle carriere lavorative discontinue”. I redditi saranno ovviamente attualizzati in base agli indici ISTAT e quindi rapportati, per quota, al cosiddetto tetto massimo pensionistico, che è fissato a 47.110,57 euro. Il conteggio avverrà quindi in questo modo: per la parte di reddito annuale fino alla metà del tetto (quindi 23.555,285 euro) verrà calcolata per l’1,9% e sommata per i 30 anni di contribuzione; per la parte tra la metà del tetto e il tetto stesso, varrà invece lo 0,75% e si sommerà all’altra quota per ogni anno di contribuzione. Prevista anche una nuova quota, per la parte di reddito eccedente il tetto fino a 150mila euro, fissata allo 0,5%. Quest’ultima misura interviene, dopo anni di discussioni, a ridare un po’ di equità al prelievo esagerato sugli stipendi alti, in particolare dei dirigenti e manager, scoraggiandone l’arrivo nelle aziende di San Marino.

“Il problema”, ha quindi spiegato Ciavatta, “è che anche con stipendi molto alti, si avranno comunque pensioni molto più basse, con il rischio anche di trovarsi a dover rispondere ad eventuali esposti. Anche per questo diventa essenziale che l’altro intervento, quello sul FONDISS, dia risultati ottimali”. Ed anche per questo che l’aliquota contributiva quasi raddoppierà, passando progressivamente dall’attuale 4% (2% dei lavoratori più 2% dei datori di lavoro) al 7% nel 2029 (4% più 3%). Un aumento che, sempre per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, si aggiunge a quelli sulle aliquote del primo pilastro, portando la contribuzione totale dall’attuale 25,5% al 31,5% nei prossimi sette anni.

Aumenti simili, comunque, avverranno anche per le altre categorie di lavoratori: Commercianti, Liberi Professionisti, Artigiani, Agenti e Mediatori, Imprenditori vedranno infatti crescere la loro aliquota dall’attuale 22% al 24% sul primo pilastro e dall’attuale 4% al 5% per quanto riguarda FONDISS.

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2 commenti:

Renato 15/09/2022 - 7:03 am

A proposito di pensioni: vorrei ricordarvi che noi, nati negli anni ’60 – ’70 abbiamo “pagato” le pensioni a chi l’ha presa per 20/30 anni, a chi prende più di pensione di quando lavorava.!!! Quindi, okkio. Prima di penalizzare noi, dovreste penalizzare anche chi ha goduto di privilegi per 20/30 anni. e non tirate fuori i diritti acquisiti. anche noi, dopo 35/40 anni di lavoro, abbiamo acquisito il diritto ad una pensione decente. senza ignorare il fatto che con sta storia dei diritti acquisiti non si fa altro che creare, Pensionati, Lavoratori, Cittadini di serie A e di serie B.

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Daniele Bartolucci
Daniele Bartolucci 15/09/2022 - 3:03 pm

Buonasera, con la riforma in discussione sarà tecnicamente impossibile avere un tasso di sostituzione (pensione/ultimo stipendio) come quello che hanno avuto i pensionati degli anni ’90 e dei primi anni 2000, che in molti casi hanno avuto come lei ha citato, pensioni più alte dell’ultimo stipendio. In media, con la riforma del 2005 e poi del 2011 il tasso di sostituzione dovrebbe attestarsi sul 65-70% (al netto della variabile Fondiss, di cui si parla poco ma alla fine era nato proprio per aumentare quel tasso finale). Con la nuova riforma, in teoria si prenderà circa il 55-60% dell’ultimo stipendio. Per questo abbiamo scritto che si versa di più e si prenderà meno.
La discussione comunque è ancora all’inizio, vedremo come evolverà

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