Lo stop ai lavori della Commissione ha diverse chiavi di lettura, perché diversi sono i soggetti che l’hanno chiesto. Ognuno, legittimamente, può essere contento di questa sospensione, anche perché c’è già la garanzia che, qualora si trovasse una soluzione condivisa e sostenibile, ci saranno anche i voti utili bipartisan per modificare anche gli articoli già emendati nei primi giorni di Commissione. Questo apre le porte a diversi scenari, ovviamente, dove tutto è possibile anche se il Segretario Gatti (e gran parte del Governo) preferirebbe qualche cambiamento e non una rivoluzione del suo impianto. Perché questo accada, però, occorre essere onesti: la riforma, inizialmente chiamata semplice revisione, così com’è avrebbe un impatto enormemente spostato sui lavoratori (in particolare i frontalieri) e sulle imprese che già pagano imposte su imposte. E avrebbe un impatto negativo anche sulla leva fiscale che è una delle più importanti, non l’unica ma una delle più evidenti sicuramente. Detto ciò, la riforma va fatta, ma non perché servono soldi (20 milioni di euro per il Bilancio dello Stato sono briciole), bensì perché il modello attuale non è né perfetto, né equo, né tantomeno al riparo dalle furberie e storture. Se si fosse dato ascolto a chi sosteneva di fare prima l’ICEE e l’IVA, oggi le soluzioni sarebbero facilissime da trovare, ma questi due strumenti non ci sono e tocca fare senza. Quindi occorre agire per rendere equa e progressiva la tassazione sul reddito da lavoro, ma anche trovare il modo di far versare qualcosa a chi non versa mai. Spostare il mirino della riforma, in pratica. Da chi lavora e produce, a chi non lo fa.
Editoriale: Nuovo fisco più equo e determinato
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