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Quando “finire” significa anche saper aspettare

da Simona Bisacchi

Tutto è pronto per ricominciare.

Ma chi crede che ricominciare sia sinonimo di ripetere, reiterare, riproporre, rischia di crollare in un’insostenibile routine.

Ricominciare fa rima con rinnovare, spaziare, diversificare.

Ricominciare fa rima – rima sentimentale, non fonetica – con novità.

C’è aria di novità quando cominciamo a utilizzare parole che non facevano parte del nostro consueto vocabolario, perché stiamo studiando una nuova materia o stiamo imparando a conoscere di più qualcuno e il suo mondo. Quando curiamo il nostro linguaggio, perché il pensiero che vogliamo comunicare diventi più chiaro, più comprensibile. Quando esprimiamo lo stesso concetto di sempre con termini più educati e sostituiamo un “mai” con un semplice “no”. 

Quando invece di maledire una giornata pesante, benediciamo la sera che finalmente è arrivata, considerando che “Quelle che a noi sembrano delle prove amare, sono delle benedizioni sotto mentite spoglie” (Oscar Wilde, “L’importanza di chiamarsi Ernesto” o “L’importanza di far l’onesto”). E speriamo che una notte mite ci porti più forza e pazienza per affrontare il giorno che verrà.

Ricominciare è – irrimediabilmente – finire. Salutare il passato: è stato molto bello, a volte anche parecchio brutto, ma – fateci caso – è finito proprio ieri. Non rimuginare sul fatto che “abbiamo già” tentato tante soluzioni ma cambiamenti non ce ne sono stati: abbiamo già riso, provato, inciampato; abbiamo già sperato, creduto, rischiato; abbiamo già dato tutti noi stessi, abbiamo speso risorse, pianto. Abbiamo già compiuto tante azioni, è vero. Spesso, però, ciò che fa davvero la differenza non è cambiare il tipo di movimento ma il genere di atteggiamento, il comportamento di base. Tanto che chi ricomincia non sempre è proiettato verso relazioni o lavori nuovi, ma piuttosto sente la necessità di affrontare con un nuovo spirito ogni impresa, ogni incontro, vecchio o recente che sia. Perché “Bisogna dirlo e ridirlo: non è il bisogno di novità che tormenta gli spiriti, è il bisogno di verità. Ed esso è immenso” (Victor Hugo, “Odi e ballate”).

Finire è un momento splendido della vita.

È il momento in cui qualcosa di nuovo sta per arrivare. Qualcosa si sta per affacciare nei nostri sogni, nelle nostre aspirazioni, e ci troveremo a combattere e lavorare per qualcosa che prima non avevamo mai preso in considerazione. Qualcosa che non aveva alcuna importanza per noi. Ma improvvisamente ha assunto un valore che mai avevamo notato.

Finire significa saper aspettare. Resistere, perché “Si crede che, quando una cosa finisce, un’altra comincia immediatamente. No. Tra le due cose, c’è lo scompiglio” (Marguerite Duras, “Hiroshima non amour”). E in questo scompiglio di dolorosi addii, e martellanti incertezze, qualcosa di rivoluzionario accade a chi lascia andare ciò che era e ricomincia da ciò che vuole diventare.

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