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Riforma IGR: i frontalieri i più penalizzati, ma non sono i soli

da Daniele Bartolucci

Al grido di “basta spremere i redditi da lavoro dipendente e da pensione”, i sindacati sammarinese si uniscono contro le ipotesi di riforma dell’IGR presentate in queste settimane dal Governo per tramite della Segreteria alle Finanze. A preoccupare sono “il raddoppio delle tasse sul TFR e, per i residenti, l’obbligo di spendere di più in territorio, pena un fisco più pesante”, che si aggiungono alla questione dei frontalieri, “i più penalizzati” secondo i sindacati, che non hanno timori ad accomunare questa operazione all’infausta “tassa etnica” del 2010 (poi cancellata dopo una mobilitazione massiva dei lavoratori: in foto una delle assemblee dell’epoca). “A tutto ciò, si aggiunge l’ipotesi del raddoppio delle imposte sul TFR, oggi pari al 2,5% fino a 5.000 euro ed il 5% sulla parte eccedente: inaccettabile”.

La scorsa settimana le tre sigle sindacali hanno incontrato il Segretario di Stato per le Finanze per discutere le proposte di modifica della legge IGR del 2013 e “ci si aspettava un passo indietro del Governo rispetto alle ipotesi paventate nel precedente incontro, vista la loro irrazionalità, ma così non è stato”. L’auspicio è che nei prossimi giorni ci siano ulteriori incontri e modifiche all’impostazione iniziale, anche perché oltre ai sindacati, che difendono i lavoratori, iniziano a preoccuparsi anche le imprese, soprattutto quelle che hanno in organico i frontalieri, ma anche, in generale, quelle che devono assumere nuove forze lavoro: già oggi è complicatissimo trovare le competenze necessarie e si fa affidamento appunto sui frontalieri (quasi 8.500), ma queste notizie potrebbero avere effetti negativi anche su questa dinamica.

LA SPARIZIONE DELLA “NO TAX AREA”

“L’impatto prevalente riguarda la totale modifica degli attuali 9.000 euro deducibili, in parte come no tax area che si riduce con il crescere del reddito, in parte da tracciare quali spese SMAC. La proposta prevede la trasformazione totale di tale importo in detrazione fiscale soggettiva, nella misura del 12% esclusivamente sulle somme tracciate. Sparirebbe pertanto la no tax area. Ciò comporterebbe da un lato la necessità, per i residenti anche con redditi bassi, di tracciare molte più spese in territorio, compromettendo la libertà dei cittadini di rivolgersi a esercizi commerciali spesso più convenienti; dall’altro lato verrebbero esclusi totalmente i lavoratori frontalieri, causando un immediato aggravio a loro carico che può arrivare anche ad una mensilità. La gran parte della riforma (obiettivo atteso circa 20 milioni di maggiori entrate, anche se lo schema presentato ne prevede di più) peserebbe quindi, ancora una volta, in gran parte sui soliti redditi fissi, con particolare accanimento su chi viene tutti i giorni a lavorare a San Marino da fuori confine, garantendo la sussistenza dell’intero sistema economico e sociale; si pensi al personale sanitario”.  “Come allora, si racconta che per i frontalieri non cambierebbe niente, in quanto pagherebbero un equivalente minor conguaglio con la dichiarazione dei redditi in Italia. Affermazione che non trova riscontro nella realtà: fino a quando la Corte di Cassazione non si esprimerà diversamente, le imposte pagate a San Marino vengono recuperate solo parzialmente, in media nella misura del 65%. Addirittura, i redditi più bassi, anche per effetto di mutui, affitti, spese mediche ed universitarie, ecc., recupererebbero poco o nulla, visto l’esiguo carico fiscale”.

LE PRIME SIMULAZIONI DEI SINDACATI

Ma “se i lavoratori frontalieri sono i più penalizzati dalle ipotesi di riforma Tributaria del Governo, tutti i redditi da lavoro dipendente e da pensione sono nel mirino dell’Esecutivo”, avvertono i tre sindacati sammarinesi, calcoli alla mano. “Il Governo ipotizza di detrarre il 12% delle spese effettuate in territorio, fino ad un massimo di 9.000 euro, corrispondenti ad una detrazione massima annua di 1.080 euro. Il Segretario di Stato per le Finanze, per indorare la pillola, ha accennato alla possibilità di innalzare la percentuale al 15%, portando la detrazione massima a 1.350 euro”. Di fatto, si “costringerebbe i redditi fissi a sostenere spese molto più elevate all’interno del territorio, per ottenere gli stessi benefici fiscali di oggi o per contenere l’aggravio previsto. In altre parole, per pagare meno tasse, si sarebbe obbligati ad acquistare ancor più beni e servizi a San Marino, e quindi a prezzi generalmente più alti”. Ad esempio: “Un lavoratore part-time con uno stipendio lordo mensile di 1.200 euro, oggi paga 264 euro annui di imposte e deve tracciare 1.174 euro di spese SMAC. Con la proposta del Governo, dovrebbe smaccare circa 8.000 euro annui – quasi l’intero reddito netto – solo per avere un alleggerimento fiscale”.

Un altro esempio: “Un dipendente del settore Industria al 4° livello, con il massimo dell’anzianità di servizio e uno stipendio lordo mensile di 2.500 euro, oggi paga 1.964 euro di imposte all’anno, tracciando 5.275 euro di spese SMAC. Anche ipotizzando di tracciare l’importo massimo previsto di 9.000 euro annui, con la nuova proposta del Governo, pagherebbe comunque più imposte rispetto a oggi”.

LA PROPOSTA: MENO TASSE E APPLICARE IL FISCAL DRAG

“Abbiamo ribadito al Segretario di Stato per le Finanze che, a fronte di una riduzione del potere d’acquisto di stipendi e pensioni compresa tra il 10% e fino ad oltre il 20% circa, non solo le tasse non devono aumentare, ma devono essere ridotte, a cominciare dall’utilizzo delle maggiori entrate, derivanti dalla mancata applicazione del fiscal drag, per ridurre il carico contributivo sugli stipendi e consentire una più significativa rivalutazione delle pensioni, soprattutto per i redditi più bassi. Abbiamo inoltre richiesto un intervento correttivo, rispetto alla situazione attuale, che preveda l’incremento, sulla base dell’inflazione, dei 9.000 euro di deduzioni, mantenendo il mix tra no tax area e quota tracciabile tramite SMAC. Si tratta dell’esatto contrario di quanto intende fare il Governo. Occorre invece”, lamentano i sindacati, “chiedere un maggior contributo a coloro che hanno beneficiato della considerevole crescita della ricchezza avvenuta in particolare negli ultimi anni, e non certo a chi vive di solo salario, stipendio o pensione”.

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