Home Notizie del Giorno Visto per voi a teatro: “Emma B. vedova Giocasta” con Marco Sgrosso

Visto per voi a teatro: “Emma B. vedova Giocasta” con Marco Sgrosso

da Alessandro Carli

Esattamente 24 anni fa – era il 2001 -, recensendo lo spettacolo “Ella” di Herbert Achternbusch portato in scena da Marco Sgrosso, chiudevo il pezzo con queste parole: “Il pubblico tace, attonito. Scosso da tanta potenza scenica e drammatica. E lì, in un angolo, Alberto Savinio rivede, invertita, la sua Emma B. vedova Giocasta. Completamente”.

C’è voluto quasi un quarto di secolo ma quella “inconsapevole” profezia è diventata gesto, voce, storia, teatro. Dopo il debutto a Castrovillari, “Emma B. vedova Giocasta” è approdato, il 14 giugno, sulle assi del Teatro Studio Valeria Moriconi di Jesi in occasione del ventennale della scomparsa della immensa attrice jesina (che portò in scena anche questo testo; sempre il 14 giugno, prima dello spettacolo, alle 18.30 al Teatro Pergolesi, è stato presentato il libro “Il teatro di Valeria Moriconi nelle fotografie di Tommaso Le Pera”, a cura di Maria Paola Poponi e Tommaso Le Pera, che raccoglie straordinarie immagini di 19 spettacoli che la videro protagonista).

Una prova d’attore straordinaria, quella che ha donato Marco Sgrosso (foto: Gianni Zampaglione) alla platea: 51 minuti di atto unico, struggente, attualissimo per il tema affrontato e annunciato già dal titolo (nell’analisi psicoanalitica, in maniera spannometrica, il “complesso di Giocasta” è il desiderio sessuale incestuoso che una madre nutre verso il proprio figlio). Impreziosito da due pennellate che destano meraviglia – la foto di Sgrosso da giovane sul lato sinistro del palco e una chiusa-omaggio a Leo de Berardinis (Marco ha fatto parte del nucleo storico del Teatro di Leo dal 1985 al 2001, ndr) – il soliloquio racconta di una madre in attesa del figlio, Millo, che sta per fare ritorno a casa dopo un’assenza di quindici anni. Rinchiusa in una “stanza della tortura” di pirandelliana memoria (Giovanni Macchia), Emma ribadisce (solo a sé stessa) il morboso attaccamento per Millo, convincendosi che il suo arrivo ricomporrà finalmente il loro antico legame che il ragazzo aveva voluto interrompere, tre lustri prima, senza riuscirci. Se dobbiamo credere alle parole della “vedova”, nelle femmine amate da Millo non ci sono che repliche della madre: tutte donne che hanno gli occhi vicino al naso. Nell’assolo la protagonista accumula, in un disomogeneo flusso di coscienza, riflessioni e tracce di memoria sconcertanti, dalla rievocazione dello stratagemma con cui aveva salvato il figlio, nel gennaio del ‘44, durante una perquisizione della polizia, al ricordo del momento di verità che aveva accompagnato l’ingresso di Millo nell’età adulta, allorché – vedendolo dentro i panni riadattati del padre -, lei aveva finalmente riconosciuto in lui il suo vero uomo.

La scena che chiude lo spettacolo riporta gli spettatori – e lo stesso Marco – alla poetica di Leo: avvolto in una maschera (realizzata da Stefano Perocco di Meduna) e in un velo listato a lutto, la donna attraversa il palco in maniera obliqua per avvicinarsi a uno specchio, pronta a dire “sì” al figlio sposo.

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