A tre mesi dalla personale “prima” di “Arrivano i Dunque (avannotti, sole blu e la storia della giovane saracinesca)”, il nuovo spettacolo di Alessandro Bergonzoni (visto al Teatro della Regina di Cattolica il 21 marzo), la prima impressione – nella replica vista a Villa Torlonia il 12 giugno – è che l’attore e drammaturgo bolognese abbia “più rodato” la mise en scene, nata comunque – va detto – già di ottima fattura (del resto, Bergonzoni è Bergonzoni e, per chi l’ha visto almeno una volta, conosce il livello altissimo dei suoi lavori).
Due ore (per il pubblico, non per lui) in un viaggio vertic_Ale_ssandro Bergonzoni: impossibile da raccontare (va vissuto) ma assolutamente da vivere (o da vedere, visto che è impossibile vivere, nell’accezione più alta e nobile del termine, alla sua maniera).
Allestimento minimalista – una grande scatola di cartone che funge da altare, da tavolo di lavoro, da sarcofago, da cas(s)a – per un atto unico ad altissima velocità: la “congiungivite” – che unisce le esistenze dei fiamminghi e dei piromani, di Dalì fino ad Allah – e la sensazione di una nuova lingua, il “Bergonzone”, un “esasperanto” che non esaspera mai ma piuttosto che illumina le sinapsi degli spettatori.
Più o meno a metà spettacolo l’artista rivela la dedica del lungo titolo del monologo (un omaggio ai film di Lina Wertmuller?): “I Dunque sono quelli che si pone un altrista. I Dunque sono quelli che si pone chi fa tealtro”. Il resto – che si prova a scrivere – è un viaggio ultraveloce al di là dello specchio (per chi ha letto Alice di Carroll, sa che cosa stiamo parlando), in piena poetica bergonzoniana: docce gelate di non-sense (il gusto non conta), calembour micidiali (ma non c’entrano i gatti; i mici forse sì) e altrettanti micidiali giochi di parole (del resto, lo aveva annunciato in uno spettacolo di due o tre po’ di anni fa, “Predisporsi al micidiale”) che affaticano – in maniera più che positiva – la mente.
La chiusura riporta al quadro “La morte di Marat” di Jacques-Louis David: Bergonzoni entra nella scatola di cartone e, con un braccio a penzoloni, snocciola parole. Altre parole, altre risate, altri silenzi. Come quando nella corte di Villa Torlonia si sentono le sirene che annunciano un attacco missilistico: le stesse che odono le persone che lavorano per Emergency e, purtroppo, le persone che vivono nelle zone meno sicure del Pianeta.
Un viaggio nella “c-realtà”, come la definisce lui stesso sul palco, tra purissima comicità e un impegno umanitario e sociale di rilievo, ancora più “presente” rispetto agli ultimi lavori. Anche se lui è già proiettato in un tempo futuro.