Non è la prima volta che San Marino conquista la finalissima dell’Eurovision Song Contest, ma è la prima volta da quando la competizione ha raggiunto il massimo livello mediatico (e pubblicitario) possibile. Per fare un paragone con il calcio moderno, è più o meno la stessa evoluzione che ha vissuto la vecchia Coppa dei Campioni nel diventare Champions League: più squadre, più partite, più spettatori, più sponsor e ovviamente anche più soldi. Ma non è la pecunia che interessa a San Marino, bensì l’emancipazione di un piccolo Paese con una grandissima tradizione culturale, artistica e musicale. Se si guarda ai “contenitori” (teatri, musei, istituto musicale, gallerie d’arte, biblioteche, eccetera), infatti, si può dire che l’antica Repubblica ne sia il paese più ricco del mondo in proporzione al territorio e al numero di abitanti (come è il paese più industrializzato al mondo). Chiaramente questo non si traduce anche in un altrettanto voluminoso numero di “campioni” e seppur non manchino, né ne siano mancati in passato, avere scelto uno “straniero” per rappresentare il proprio Paese non è affatto uno sgarbo, anche perché lo fanno anche tanti altri Paesi più grandi. Solo che questa volta Gabry Ponte non è un cantante qualsiasi, ma una star internazionale che ha tutte le carte in regola per arrivare fino in fondo anche alla finale. Se dovesse accadere, rappresenterebbe un vanto per tutti e un bel viatico al percorso di integrazione che San Marino dovrebbe concludere finalmente con l’Accordo di Associazione. Ecco perché sabato si deve tifare per lui. Un Ponte all’Eurovision, un “ponte” per l’Europa.
Editoriale: Un Ponte verso l’Europa
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