“Gli incentivi sono l’essenza dell’economia”. Questa frase, estrapolata da un articolo pubblicato sul Journal of Economic Literature a firma dell’economista di Chicago Canice Prendergast, potrebbe per alcuni suonare all’apparenza scontata, ovvia, mentre per altri, soggetti magari caratterizzati da uno spirito più libero o sognatore, potrebbe apparire addirittura non vera.
Se ci fermiamo però a riflettere un attimo, focalizzandoci non solo sull’accezione più generalista del termine, ovvero incentivo inteso come ricompensa o beneficio promesso a chi raggiunge un determinato obiettivo e che è misurabile con un quantum economico/monetario, potremmo veramente giungere alla conclusione che il mondo, l’umanità, dalla propria nascita progredisce per incentivi. Incentivi che possono poi essere raggruppati in diverse categorie, fra le quali vale la pena citare la categoria finanziaria (mi impegno a raggiungere un determinato obiettivo in quanto avrò una ricompensa monetaria, oppure apro un’azienda perché penso e spero di guadagnare tanti soldi), la categoria morale (agisco in un certo modo in quanto non farlo è considerato non corretto, immorale), la categoria coercitiva (mi comporto in un certo modo in quanto diversamente potrei essere punito) ed infine la categoria naturale (voglio per forza capire come funzionano determinati concetti della fisica o della natura, ambisco alla ricerca della verità per un mio piacere personale).
In effetti, ciascuno di noi nella propria esistenza è guidato da una o più forme di incentivi, che non devono forzatamente essere mutualmente esclusive ed è appunto la forza della somma degli incentivi che ognuno di noi ha a mandare avanti il mondo ed a fare progredire l’umanità. Tutte le invenzioni che hanno costellato la storia dell’uomo, infatti, sono state rese possibili da una qualche forma di incentivo se ci pensiamo bene.
Se l’uomo non avesse sentito il bisogno di muoversi in tempi rapidi su distanze più lunghe di quelle percorribili a piedi, sarebbero forse stati inventati la bicicletta, l’automobile, il treno o l’aereo?
Se l’uomo non avesse insito dentro di sé lo spirito di sopravvivenza, sarebbero stati inventati i medicinali?
Senza incentivi l’umanità si fermerebbe e non progredirebbe.
Tutta questa lunga premessa per potere affermare con convinzione che, qualunque azione portata avanti da qualsiasi individuo di media intelligenza e razionalità, deve per forza di cose avere alla base un qualche incentivo che, con una probabilità superiore allo zero, porterà ad una qualche ricompensa o beneficio, per sé stesso o per altri e pertanto, ogni volta che ci troviamo di fronte all’analisi o alla valutazione di determinati atti, azioni, perpetrati da determinati soggetti, dobbiamo essere consapevoli di come, anche se a nostro avviso non sembrano avere senso e risultare anche controintuitive o dannose, hanno in realtà una spiegazione a cui può essere associata una logica.
Scendendo più nel nostro campo di gioco, quindi, anche la politica economica che il Presidente Donald Trump sta attuando, basata sull’imposizione di dazi elevati (grafico dazi) sulle importazioni di beni a sostanzialmente tutte le altre nazioni del mondo, ha alla base uno o più incentivi.

Uno degli incentivi di Trump è sicuramente quello di dimostrare in qualche modo vicinanza alla pancia del proprio elettorato, i cosiddetti colletti blu impiegati nel settore della manifattura, che negli ultimi decenni è stata certamente soppiantato dal settore dei servizi (grafico impiego manifattura).

Se poi tali incentivi sortiranno un effetto netto positivo o negativo per il mondo, l’ardua sentenza va per forza lasciata ai posteri, sebbene per il momento, quantomeno nel breve periodo, appaia abbastanza ovvio come l’effetto netto sarà negativo, sempre se non vi sarà un importante (non troppo probabile al momento) dietrofront da parte dell’amministrazione americana (grafico probabilità di recessione).

COME SI SONO COMPORTATI I MERCATI FINANZIARI NELL’ULTIMO PERIODO?
Quei mesi che sembrano anni. Chi lavora nel settore finanziario lo sa bene come funziona: ci sono dei periodi di fiacca, durante i quali la price action sui mercati finanziari è ordinata e lineare, mentre ve ne sono altri caratterizzati da movimenti nervosi e continui saliscendi, al punto tale da mettere veramente a dura prova la mente e le coronarie. Il mese di aprile, ça va sans dire, è stato l’emblema del secondo schema di gioco.
Infatti, se già durante la parte finale del mese di marzo si era incominciato ad annusare odore di negatività, il tutto è deflagrato il 2 aprile, quando il Presidente americano Donald Trump, nella giornata da lui ribattezzata “della liberazione”, ha annunciato dazi, di importi anche rilevanti su sostanzialmente tutte le nazioni del mondo, con un focus particolare sulla Cina, con l’obiettivo di ridurre la bilancia commerciale negativa di cui “soffrono” gli Stati Uniti d’America.
Se tali misure dovessero essere confermate (nel frattempo l’amministrazione americana ha già fatto in buona parte dietrofront) non vi sarebbe dubbio alcuno che l’economia globale subirebbe un contraccolpo importante (verosimilmente sarebbe proprio l’America a risentirne maggiormente…) e di conseguenza i mercati finanziari, che come ben si sa non amano politiche economiche protezionistiche, ma soprattutto non amano situazioni di incertezza, hanno registrato un movimento di riprezzamento del rischio, caratterizzato da uno spike di volatilità (grafico volatilità) che, sebbene durante il mese sia già quasi totalmente rientrato, ha già lasciato qualche segno (tabella performance).


Sebbene la negatività sia in effetti, almeno per ora in buona parte rientrata, la prima parte del mese di aprile ha fatto registrare andamenti pesantemente negativi, con i mercati azionari che si sono trovati a registrare perdite e due cifre e mercati obbligazionari che, nonostante nella prima fase abbiano offerto parziale decorrelazione dai movimenti sull’azionario, nella seconda fase hanno invece, specialmente per quanto riguarda i titoli di stato americani, sofferto a loro volta risentendo, oltre che dell’effetto di operazioni di valore relativo effettuate da players sofisticati, di un probabile allontanamento da asset finanziari a stelle e strisce da parte di investitori esteri, vuoi in parte per prese di beneficio (gli asset americani hanno sovraperformato il resto del mondo negli ultimi anni) ma in parte anche per la minore fiducia su un paese che dovrebbe essere la roccaforte delle certezze ma che invece, negli ultimi mesi, si sta rivelando la fonte delle maggiori incertezze.
A supporto di tale tesi, ed a testimonianza di come sembra essersi palesata una fuoriuscita di flussi dal mercato americano da parte di investitori esteri, vi è anche l’andamento fortemente negativo registrato dal dollaro americano (grafico dollaro) e la sovraperformance del tasso europeo rispetto a quello americano (grafico performance relativa).


QUALI SONO STATI GLI EVENTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELL’ULTIMO PERIODO?
Se si esclude il taglio dei tassi di ulteriori 25 punti base annunciato dalla Banca Centrale Europea, che ha così portato il livello dei tassi sui depositi al 2,25%, il mese di aprile è stato giocoforza fatto ostaggio degli annunci di Donald Trump sui dazi, che si è sbizzarrito per l’appunto tra annunci, smentite, spostamento dei termini di entrata in vigore e chi più ne ha più ne metta.
In effetti, ormai da oltre 1 mese, il tema dazi è il vero market-mover dei mercati finanziari, soprattutto vista l’elevata incertezza ed erraticità sia in relazione a quelle che alla fine saranno le vere misure applicate sia alle modalità di calcolo delle percentuali applicate su ciascun paese. A tal proposito, risulterebbe alquanto curiosa e simpatica la formula utilizzata per calcolare la percentuale di dazi applicata ai singoli paesi (se non fosse però che i calcoli sembrano veramente essere stati fatti in questo modo!). L’amministrazione americana, infatti, ha semplicemente diviso il deficit delle partite correnti che gli USA hanno con un determinato paese sul totale degli scambi commerciali con detto paese! Semplificando, supponendo che il paese X sia un produttore di banane che esporti annualmente negli USA un controvalore di 100 milioni di USD di banane e che non esporti e non importi null’altro verso e dagli USA (quindi il totale degli scambi commerciali tra gli USA ed il paese X sarebbe esattamente di 100 milioni di USD) la percentuale a cui gli USA – intenderebbero tassare le importazioni dal paese X – secondo le prime intenzioni e per come annunciato il 2 aprile – si attesterebbe esattamente al 100% (100/100=1)! Ci sarebbe appunto da sorridere se non si trattasse della realtà, con un ovvio importante impatto sul commercio globale.
QUAL È LA CONDIZIONE DI SALUTE DELL’ECONOMIA GLOBALE?
Come scritto già lo scorso mese, la situazione continua a rimanere decisamente incerta, principalmente a causa della variabilità nelle decisioni prese dall’amministrazione americana e del permanere di una marcata dicotomia tra gli indicatori “hard” (pubblicazione di dati macro, ecc.) e gli indicatori “soft” (sondaggi, ecc.).
In effetti, un mondo più protezionistico e meno globalizzato vedrebbe l’economia nel suo aggregato in una condizione di salute decisamente peggiore rispetto alla condizione opposta (crescita più bassa ed inflazione più alta).
In effetti, sebbene gli indicatori classici del ciclo economico, che per loro natura intrinseca sono dati “ritardati” o tutt’al più coincidenti, non possano ancora rispecchiare il nuovo contesto economico, il polso della situazione e di ciò a cui l’economia potrebbe andare incontro qualora i dazi annunciati venissero effettivamente applicati, ce lo offre l’osservazione di qualche leading indicators e di qualche dato alternativo (grafico aspettative economiche, grafico aspettative inflazione e grafico commercio con Cina).



Anche il Fondo Monetario Internazionale in effetti, nell’aggiornamento di aprile del World Economic Outlook, ha rivisto in calo dello 0,5% le aspettative di crescita mondiali rispetto a quelle preventivate a gennaio.
È indubbio, pertanto, come la condizione di salute dell’economia sia in deterioramento e che solo un repentino cambio di rotta da parte dei principali policymakers potrà evitare un duro atterraggio, nonostante diversi danni sono probabilmente già stati fatti con guasti difficilmente riparabili senza dolorose implicazioni.
QUALI SARANNO GLI EVENTI DA MONITORARE NEL PROSSIMO PERIODO?
Anche durante il mese di maggio il focus principale permarrà rivolto alle decisioni di politica economica che giungeranno da Casa Bianca e dintorni ed all’effetto che tali decisioni avranno sul tessuto economico. In tal senso, continuerà a rivestire una certa importanza il monitoraggio di indicatori economici alternativi, per cercare di carpire in anticipo i risvolti che anche solo gli annunci stanno avendo in tempo reale sull’economia.
Attenzione anche agli sviluppi dei conflitti in Israele ed Ucraina, con quest’ultimo fronte che potrebbe registrare qualche novità circa un tentativo di accordo tra i due paesi belligeranti, a fronte delle pressioni di Trump.
Per quanto riguarda la politica monetaria, non sono invece attese novità di rilievo, con la BCE in pausa sino a giugno e la FED che, durante la riunione del 7 maggio è attesa rimanere in stand-by sui tassi, nonostante le pressioni per tagli dei tassi provenienti dal Presidente USA.
COSA CI DICONO LE VALUTAZIONI ATTUALI DEI MERCATI FINANZIARI E COSA È LECITO ATTENDERSI NEL MEDIO PERIODO?
Come sempre risulta importante dare uno sguardo alle valutazioni delle principali categorie di investimento, in quanto nel medio-lungo periodo la performance dei mercati è fortemente correlata alle valutazioni presenti al momento dell’investimento (più basse sono le valutazioni più elevato è il rendimento prospettico e viceversa).

La tabella valutazioni, sebbene i livelli siano meno cari dello scorso mese, mostra valori difficilmente associabili con un potenziale contesto recessivo, specialmente sul fronte dell’obbligazionario con maggiore rischio di credito. Ci troviamo quindi in un contesto di valutazioni che non offrono un adeguato margine di sicurezza per potere dormire sonni tranquilli e pertanto è indubbio come i mercati stiano considerando le attuali tensioni sul fronte del commercio globale come soltanto passeggere. Non è però possibile escludere che tale interpretazione possa rivelarsi fallace alla prova dei fatti.
COME ANDRANNO QUINDI GESTITI I PORTAFOGLI NEL PROSSIMO PERIODO?
I valori a cui trattano le principali classi di investimento finanziarie stanno scontando implicitamente che l’attuale fase di tensione sarà destinata a rientrare. Sebbene da un punto di vista razionale (razionale inteso dal punto di vista di chi scrive) tale interpretazione appare sensata, non si può affatto escludere, anche in considerazione degli interessi (e degli incentivi) dei principali policymakers, che le cose dovranno peggiorare prima di migliorare nuovamente. Il contesto di mercato attuale, pertanto, può essere approcciato solamente in due modi, l’uno completamente l’opposto dell’altro: con un profilo da trader o ancora meglio da scalper, cercando quindi di operare con un’ottica di brevissimo periodo (compro e vendo attività di rischio volatili nel giro di pochissimo indipendentemente da come è andato il trade) o con un profilo da investitore paziente di lungo periodo (approccio che ci contraddistingue), con la consapevolezza di come statisticamente, acquistando attività di rischio durante periodi di negatività (evitando il rischio specifico ma assumendosi solo quello sistematico e quindi del mercato nel suo complesso) si ottengono risultati interessanti (grafico volatilità e rendimenti futuri).

Considerato il tutto a 360 gradi, per il prossimo periodo in dettaglio si consiglia quindi di:
1 – Aumentare l’esposizione all’azionario durante giornate particolarmente negative, con l’obiettivo di portarla gradualmente vicino al peso stabilito in sede di asset allocation strategica;
2 – Mantenere l’esposizione all’obbligazionario con rischio di credito in linea al peso stabilito in sede di asset allocation strategica;
3 – Diminuire l’esposizione all’obbligazionario privo di rischio di credito durante giornate particolarmente positive, con l’obiettivo di portarla leggermente sotto al peso stabilito in sede di asset allocation strategica.
Sul Dollaro Americano, il grosso della negatività dovrebbe essere per il momento alle spalle, sebbene sia difficile potersi attendere grandi recuperi nel breve periodo. A livello di asset class, appare interessante quella delle obbligazioni inflation linked che, trattando a livelli di inflation break-even non particolarmente cari, potrebbe portare giovamento ad un portafoglio ben diversificato indipendentemente da dove atterrerà l’economia se i dazi, in un modo o nell’altro, entreranno effettivamente in vigore: in un ipotesi di stagflazione (crescita debole ed aumento dell’inflazione), la “componente inflazione” performerebbe bene, mentre in un ipotesi di recessione importante, sarebbe la “componente obbligazionaria reale” a ben performare.