Home Notizie del Giorno Visto per voi a teatro: “Arrivano i Dunque” di Alessandro Bergonzoni

Visto per voi a teatro: “Arrivano i Dunque” di Alessandro Bergonzoni

da Alessandro Carli

C’entro, centro, cento minuti e più dentro la lavatrice allevatrice di Alessandro Bergonzoni, con un lavaggio delicato per la pelle ma meno, molto meno (uno, due o tre poco importa: è sotto lo zero) per la mente. Teatro della Regina di Cattolica vestito in maniera re(g)ale e pieno come un uovo (Humpty Dumpty di Lewis Carroll, ovviamente, il papà di Alice), venerdì 21 marzo per il nuovo lavoro dell’artista bolognese, “Arrivano i Dunque (avannotti, sole blu e la storia della giovane saracinesca)”, titolo che sembra voglia rispondere al quesito posto da Samuel Beckett in “Aspettando Godot” (nel testo beckettiano, alla fine, i due protagonisti stanno fermi). Qualche giorno fa ho chiesto a Patrizia Di Mieri, che ha già visto il monologo a Savignano sul Rubicone a fine 2024: “Una lavatrice, vero?”. Risposta: “Mi racconterai se il programma sarà per delicati o una centrifuga ad alta velocità”.

I Dunque arrivano, eccome se arrivano: sono tanti, Dunque vanno raccontati. Impresa difficilissima. Arrivano i, Dunque Bergonzoni li ha portati a teatro e esattamente a metà spettacolo l’artista rivela la dedica: “I Dunque sono quelli che si pone un altrista. I Dunque sono quelli che si pone chi fa tealtro”. Il resto – che si prova a scrivere – è un viaggio ultraveloce al di là dello specchio (per chi ha letto Alice di Carroll, sa che cosa stiamo parlando), in piena poetica bergonzoniana: docce gelate di non-sense (il gusto non conta), calembour micidiali (ma non c’entrano i gatti, o forse sì) e altrettanti micidiali giochi di parole (del resto, lo aveva annunciato in uno spettacolo di due o tre po’ di anni fa, “Predisporsi al micidiale”) che affaticano – in maniera più che positiva – la mente.  

Allestimento minimalista – una grande scatola di cartone che funge da altare, da tavolo di lavoro, da sarcofago – per un atto unico di un’ora e 40 minuti ad altissima velocità: la “congiungivite” – che unisce le esistenze dei fiamminghi e dei piromani, di van Gogh e Bangkok, del bene e di Mahler, Dalì fino Allah – e la sensazione di una nuova lingua, il “Bergonzone”, un “esasperanto” che non esaspera mai ma piuttosto che illumina le sinapsi degli spettatori. Un viaggio nella “c-realtà”, come la definisce lui stesso sul palco, tra purissima comicità e un impegno umanitario e sociale di rilievo, ancora più “presente” rispetto agli ultimi lavori. Anche se lui è già proiettato in un tempo futuro.        

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento