La scomparsa di Mons. Giuseppe Innocentini ha colpito al cuore tutta la comunità sammarinese. Ed è proprio da questa parola, comunità, che si può partire per raccontare, in minima parte, l’enorme storia umana prima ancora che cristiana, di Don Peppino. Perché quella sammarinese, da tre generazioni almeno, è la sua comunità. Lui che è diventato nel tempo forse il più illustre e sicuramente più amato “immigrato” a San Marino. Non per necessità o per altre motivazioni come fece il Santo dalla Dalmazia, ma per contribuire alla crescita della comunità di Serravalle, dove fu mandato come Cappellano nel 1953 all’indomani della consacrazione a sacerdote. Quella stessa parrocchia che ha guidato con saggezza e innovazione (si pensi solo alla fondazione – appena arrivato – della società Juvenes che tanti successi ha raccolto dentro e fuori la Repubblica, o all’intuizione della colonia sammarinese di Chiusi della Verna circa dieci anni dopo, che ancora oggi offre ai giovani sammarinesi un’opportunità di crescita personale e spirituale in un ambiente naturale) fino al 2016. Con tutti i distinguo del caso, un immigrato per lavoro, di fatto. Come tantissimi italiani hanno scelto di fare, spostando la propria vita alle pendici del Monte Titano. Chiamando “casa” quella che in origine non era affatto la loro terra natia, trovando qui, nell’antica terra della libertà, le condizioni ideali per lavorare, vivere e costruirsi un futuro, per sé e per la propria famiglia. Condizioni che, al di là di norme e tessuto economico, in gran parte sono umane e sociali. E questo lo si deve anche e soprattutto a persone come lui. Grazie Don Peppino.
Editoriale: Don Peppino, l’immigrato più amato
Articolo precedente