“Per me, io sono colei che mi si crede!” lo fa pronunziare Luigi Pirandello alla Signora Ponza in chiusura di “Così è (se vi pare)”, superbo testo teatrale. La celebre battuta può essere riproposta per “La ferocia” del collettivo VicoQuartoMazzini, passato sulle assi del Teatro Nuovo di Dogana mercoledì 12 marzo: ha ragione la giuria che ha assegnato allo spettacolo quattro Premi Ubu 2024 (miglior spettacolo, miglior attore, miglior attrice e miglior disegno luci) oppure Pierluigi Pietricola che sul sito www.sipario.it ha terminato la sua recensione scrivendo che “questa ‘Ferocia’, più che crudele, è stata noiosissima e priva d’ogni sorpresa”?
Il testo, tratto dall’omonimo romanzo di Nicola Lagioia (Giulio Einaudi Editore), non è nato per la scena ed è stato adattato – all’uopo – da Linda Dalisi: la storia narrata, quella della famiglia Salvemini arriva senza problemi in platea e si segue bene. La scivolosità della trasposizione da romanzo a copione teatrale – terreno sul quale è facile avvitarsi – viene superata di slancio: il “muro” tra parola scritta e il testo “recitato” viene abbattuto dalla storia e dall’interpretazione degli attori che in un’ora e 40 minuti di atto unico hanno portato la platea “dentro” il dramma della famiglia Salvemini di Bari che, dopo aver ricevuto la notizia della morte di Clara, figlia del capofamiglia e imprenditorie edile Vittorio, si “scontra” con una serie di fantasmi.
L’assenza improvvisa della ragazza diventa così il deus ex machina che mette in moto l’azione: assenza che si fa portatrice di verità nascoste, scomode, che si materializzano – come presenze – e fanno crollare le certezze “apparenti”. È un gioco in scena, “La ferocia”, un thriller che cresce a mano a mano che le maschere si sciolgono e fanno riaffiorare un ventaglio di “vite parallele”: Vittorio e la sua amante Micaela, morta di parto, Vittorio e i “magheggi” per gli appalti in Puglia, un figlio oncologo invischiato in loschi traffici, il marito della defunta, candido e all’oscuro della doppia vita della moglie. E poi lei, Clara, “santa” di giorno e mignotta di notte, amante di vecchi potenti e piena come un otre di cocaina, dapprima suicida “ufficiale” dopo una perizia “pilotata” e infine “femminicidata”, fatta fuori da qualcuno.
Spettacolo robusto, interessante, feroce come il suo titolo.