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Le parole “intraducibili” per raccontare la felicità

da Simona Bisacchi

Quante parole ti servono per descrivere la gioia?

Non bastano tre strofe e due ritornelli per contenere l’allegria di certi momenti.

Non sono sufficienti rosari di preghiere per esprimere un profondo sentimento di gratitudine.

Eppure esistono vocaboli che racchiudono in poche lettere non solo azioni ma anche lo stato d’animo e l’atmosfera che le accompagna. Ilide Carmignani ed Elena Battista li hanno raccolti nel libro “Saltare nelle pozzanghere”, che ha come emblematico sottotitolo “Parole intraducibili per raccontare la felicità” (edito da Rizzoli).

Si tratta di un vocabolario sui generis che contiene parole – provenienti da tutto il mondo – proprie di una lingua ma intraducibili in tutte le altre, se non attraverso definizioni più articolate. In scozzese basta dire “curglaff” per indicare “la sferzata di energia che si prova tuffandosi nell’acqua fredda” (una parola contro undici). E il comportamento di tutti i bambini – per età o per animo – che non solo “saltano nelle pozzanghere” ma lo fanno “per divertimento” in islandese si chiama “hoppipolla”: un unico termine, anche foneticamente simpatico, al posto di cinque.

L’unica parola italiana menzionata è “meriggiare”, “riposare all’aperto e in luogo ombroso nelle ore calde del primo pomeriggio”. Un verbo che suona tanto come un invito.

Perché c’è un altro modo di leggere questo libro.

Aprirlo e non solo tentare di pronunciare quello che c’è scritto. Non solo ammirare le oniriche illustrazioni di Anna Godeassi. Ma aprirlo e metterlo in pratica.

Realizzare quelle minute gioie che rischiano di rimanere impercettibili.

E poi inventarne di nuove. Senza far caso se per raccontarle abbiamo bisogno di una o dieci frasi. L’importante è che sia una piccola azione da compiere, per far filtrare un po’ do gioia in mezzo al caos dei problemi e delle preoccupazioni. Piccoli gesti che magari sembrano inutili, ma che possono portare quella forza d’animo indispensabile per affrontare gli affanni.

Come conversare davanti a un tè.

Svegliarsi di buon umore perché a colazione ti aspetta la crostata con la marmellata di fragole, preparata il giorno prima.

Leggere un libro e riempirlo di sottolineature e note agli angoli della pagina.

Trascrivere la frase di un film che ti è piaciuto e attaccarla al frigorifero.

Mettere fiori sul balcone.

Cantare una canzone che è non è tra le tue preferite, ma è allegra e ti fa divertire.

Imparare dieci o dodici vocaboli di una lingua che ti affascina, anche se non li userai mai.

Voltarsi d’improvviso verso una persona cara e dirle “grazie”.

Fare uno scherzo, cercando di rimanere seri fino alla fine.

Preparare le patatine fritte, senza usare quelle congelate.

Mettere i piedi nell’acqua del mare di marzo.

Fare un giro in bicicletta nel parco.

Osservare quanto sanno essere buffi i cani.

Verniciare di azzurro un vecchio tavolo.

Togliere la ruggine da un cancello.

Tagliare i rami di troppo nell’albero che ti regala ombra ogni estate.

Camminare lungo un sentiero di sassi e fermarsi davanti al panorama senza scattare foto.

Gironzolare dentro una libreria, senza guardare l’orologio.

Sedersi su una panchina e mangiare un gelato.

Dare qualche spicciolo a una ragazza che suona il violino per strada.

Guardare le vetrine quando i negozi sono chiusi.

Lasciare la televisione spenta per fare un gioco di società.

Quanti pezzi di felicità si possono raccogliere in una giornata.

Ed è nel momento in cui non c’è affatto da ridere che più si ha bisogno di allegria.

Quante motivazioni ti servono per tentare un po’ di gioia?

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