“Andate nei campi e nei vostri giardini, e vedrete che il piacere dell’ape è raccogliere miele dal fiore. Ma è anche piacere del fiore concedere all’ape il suo miele. Perché un fiore per l’ape è la fonte di vita”. La conferma delle parole di Khalil Gibran? Ezio Zannoni, 93 anni quest’anno (li deve ancora compiere), cresciuto (anche) con il miele. “Le api le aveva il mio bisnonno, poi mio nonno, poi sono passate a mio babbo, a me e ora a mio nipote Luca” esordisce. “Dal 1966 al 1977 sono emigrato negli Stati Uniti, poi quando sono tornato, qualche anno dopo, ho ripreso l’attività di famiglia. Era il 1982, più o meno”.
Mentre parla, in casa sua a Falciano, sul tavolo scorgiamo una tessera di cartoncino. L’occhio, curioso, si ferma sull’anno: 1990. Esattamente 35 anni fa. È la tessera della Cooperativa Apicoltori Sammarinesi.
“Per avvicinarsi alle api ci vuole passione: se manca quella, meglio starne alla lontana” racconta con un sorriso. “Non sono animali ‘qualunque’, anzi: sono sensibili e avvertono tutto. Bisogna essere tranquilli e non essere agitati. In tanti anni ho ricevuto solo 6 o 7 ‘pizzichi’, se è molto”.
Il nipote Luca e la moglie di Ezio, Clara, lo ascoltano. “Le prime arnie le ho costruite dietro casa, poi ho spostate tutto più a valle. Mia moglie Clara è stata il mio ‘braccio sinistro’: mi ha dato una mano per tanto tempo. All’inizio avevamo 30 alveari, poi si sono ridotti a 15”. Ezio ancora oggi dà una mano al nipote Luca. Il miele che raccolgono è soprattutto il Millefiori ma anche un po’ di Tiglio: “Le api raccolgono quello che trovano in giro” aggiunge prima di soffermarsi sulla quotidianità. “Oggi ci sono meno api e la raccolta è calata. Secondo me non è colpa del clima ma dell’agricoltura, meno spontanea e più intensiva. La cosiddetta ‘erba catìva’ non si trova quasi più. Negli anni Ottanta con 30 sciami riuscivo a raccogliere 11 quintali di miele, oggi con 28 sciami i quintali sono solo due”.
Più o meno invariato invece il periodo di raccolta: per il Millefiori “le prime smielate si fanno a giugno, le ultime a inizio agosto. I due mesi successivi li lasciamo alle api: devono raccogliere anche per loro”.
Ezio, nonostante la tradizione “familiare”, ha studiato. “Ho frequentato per tre anni un corso di formazione a Rimini” spiega. La moglie Clara è di fronte a lui. Le chiediamo se ancora oggi mangiano il miele. “Lo mettiamo nel caffè oppure sul pane a colazione. Un chilo al mese non basta”. Ezio la guarda con un sorriso, poi si gira verso il nipote. “Ancora oggi mi dà una mano” ci dice Luca. “Fa il falegname (attività che ha svolto anche negli Stati Uniti: si occupava di realizzare pareti, pavimenti in legno, cartongesso, eccetera) quindi carteggia e vernicia le arnie, oppure prepara l’affumicatore. Quando ha iniziato, costruiva anche le arnie. Ancora oggi, a distanza di diversi metri, vede se ci sono problemi”. Ezio si scrive tutte nelle agende, anno per anno, giorno per giorno. Ad esempio il giorno ‘x’ ha sistemato i telaini.
“Il 25 aprile del 1982 ho acquistato il primo sciame” interviene Ezio. Poi, come scrive Erri De Luca, “Prendemmo il sentiero degli alveari che impastano l’aria con un canto di fondo, che cava una goccia di miele da un giorno di fiori”.