“Sunt facta verbis difficiliora”, scrive Cicerone in latino in una delle sue “Epistulae”. In italiano, i fatti sono più difficili delle parole o, a maggiore effetto, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Effettivamente, chiunque abbia avuto l’onore – e l’onere – di ricoprire un qualche ruolo di responsabilità a livelli più o meno alti, si è dovuto sicuramente scontrare con la dura realtà, ovvero con l’acquisizione della consapevolezza di come sia molto più semplice promettere di fare qualcosa, magari pontificando o criticando l’operato di altri, rispetto ad effettivamente implementarla.
Tale dinamica, in quanto di dominio pubblico, si riscontra molto spesso, per non dire sempre, all’interno del contesto politico, sia esso locale, nazionale o internazionale, contesto nel quale quasi sempre accade di partire con progetti molto ambiziosi che poi strada facendo, quando va bene, si annacquano diventando sempre più modesti.
Senza volere scomodare le campagne elettorali, che sappiamo essere condite da promesse a cui molte volte nemmeno chi le fa crede veramente, assistendo all’insediamento in pompa magna di Donald Trump quale 47° Presidente degli Stati Uniti d’America e prendendo per buone le tante promesse fatte, durante i prossimi quattro anni assisteremo a tanti spettacoli di fuochi d’artificio, con un mantra su tutti: l’egemonia americana potrà solo aumentare, a discapito della forza relativa di tutti gli altri blocchi economici e delle altre nazioni.
Sarà realmente così? Quanti dei propositi iniziali saranno mantenuti? Quanti invece saranno annacquati e quanti infine non vedranno proprio la luce? Ovviamente è impossibile saperlo in anticipo sebbene, vista l’esperienza del primo mandato di Trump ed in considerazione dell’ampio consenso che attualmente sembra avere, il primo periodo della sua seconda presidenza sarà costellato da tante parole ma anche da tante azioni reali, che ovviamente avranno effetti tangibili sul contesto macroeconomico ma soprattutto su quello dei mercati finanziari, che ci aspettiamo quindi andranno incontro ad una price action mediamente più volatile rispetto a quella registrata durante la presidenza Biden.
Tornando brevemente sul tema di “quante delle promesse fatte sono poi effettivamente mantenute” e per gli amanti della statistica, riportiamo di seguito alcune analisi sulle ultime tre presidenze americane (tabella promesse).

Il track record, a quanto pare e come era facilmente immaginabile, non è di certo egregio, con un hit ratio (ovvero la percentuale di promesse mantenute) che si attesta a circa un terzo.
Trump riuscirà nel suo secondo mandato a migliorare il magro risultato registrato nel suo primo mandato? La sensazione, sottolineando che appunto si tratta solamente di una sensazione, è che in questo mandato, che per forza di cose sarà il suo ultimo e non dovrà pertanto confrontarsi con una nuova campagna elettorale, la percentuale delle promesse mantenute sarà superiore al 23% del primo mandato. Ciò che è certo, a parere di chi scrive, è che le azioni e le dichiarazioni di Trump saranno ampiamente influenzate anche dall’andamento dei mercati finanziari, specialmente quelli azionari, visto che il Presidente attualmente in carica ama utilizzare l’andamento dei listini borsistici come cartina di tornasole della salute del popolo americano.
Strategicamente, quindi, per i prossimi quattro anni, a meno che si vada incontro a situazioni di stress esogeno, non appare peregrino affermare che una tecnica che potrebbe offrire discreti risultati sarà quella del buying the dip, ovvero accumulare posizioni di rischio sui ribassi, specialmente, come detto, sui mercati azionari.
Di sicuro, un altro asset che mostrerà decisi saliscendi, è il dollaro americano che, oltre ad essere influenzato dalle classiche variabili che ne guidano l’andamento (crescita dell’economia, inflazione, bilancia dei pagamenti, differenziale dei tassi rispetto ai partners commerciali, ecc.) subirà una decisa influenza, quantomeno nel breve periodo, dalle dichiarazioni e dalle misure che la nuova amministrazione prenderà sul tema dei dazi commerciali (da un punto di vista teorico e semplificando un po’, nel breve periodo l’imposizione di dazi commerciali comporta l’apprezzamento della valuta del paese che li applica in quanto le importazioni risultano più care e quindi vi è meno richiesta di convertire la moneta locale nella moneta del paese esportatore). In tal senso, effettivamente, il movimento del dollaro americano messo a segno durante la cerimonia di insediamento conferma questa view. Infatti, le aspettative erano per l’immediata imposizione di dazi e tariffe, cosa che invece non si è verificata ed il dollaro ha perso terreno (immagine dollaro e dazi).

I prossimi quattro anni, questo è sicuro, saranno molto interessanti ed alla fine del periodo potremmo sicuramente trovarci in un mondo molto diverso da quello attuale, nel bene o nel male.
Chi vivrà vedrà, ma nel frattempo il consiglio è quello di allacciarsi le cinture di sicurezza!
COME SI SONO COMPORTATI I MERCATI FINANZIARI NELL’ULTIMO PERIODO?
Mese a due facce il primo di questo nuovo anno. La prima parte, infatti, ha mostrato una certa dose di negatività sia sul fronte azionario che su quello obbligazionario, a causa di prese di profitto dopo un anno, il 2024, che ha registrato performance di tutto rispetto, ma anche per una marcata incertezza sul fronte macroeconomico – con livelli di inflazione che stanno continuando a mostrare segnali contrastanti – ma soprattutto su quello politico, con il cambio di amministrazione americana che potrebbe comportare diversi cambi di paradigma che potrebbero indurre le banche centrali, Federal Reserve in primis, ad adottare un approccio più cauto nel processo di allentamento della politica monetaria. La seconda parte del mese invece, complice la pubblicazione di alcuni indicatori macroeconomici con segno positivo dal lato del mercato del lavoro e dell’inflazione, unita alla lieve diminuzione delle tensioni geopolitiche in medio-oriente ed all’effettiva presa del potere di Trump, ha registrato segno opposto, con una ottima performance sui mercati obbligazionari ma soprattutto su quelli azionari (tabella performance).

Un tema che sicuramente ha destato attenzione, durante le ultime settimane, è stato quello del movimento al rialzo registrato dalle curve dei tassi di interesse da entrambi i lati dell’atlantico (grafico tassi USA e grafico tassi Germania).


Sebbene un rialzo dei tassi in sé non abbia nulla di particolarmente strano, specialmente in un periodo in cui l’economia appare tutto sommato in salute e la politica fiscale è generalmente espansiva, il discorso è un po’ diverso se si considera che il movimento al rialzo nei tassi di interesse è coinciso con i tagli dei tassi effettuati dalle rispettive banche centrali (tabella taglio dei tassi e movimento tassi).

Ora, volendo capire le ragioni di tale particolare movimento, vale la pena provare a scomporre il tasso di interesse decennale in due delle sue principali componenti: il tasso reale (al netto quindi dell’inflazione attesa) ed il tasso di breakeven inflation (grafico tasso reale e breakeven).

Grafico tasso reale e breakeven: andamento da fine settembre ’24 al 15 gennaio del tasso reale decennale e del tasso di breakeven inflation negli USA. Fonte: elaborazione BSM su dati Bloomberg
Sebbene entrambe le variabili siano aumentate nel lasso di tempo considerato, appare evidente come l’incremento maggiore sia stato registrato dall’andamento dei tassi reali. La ragione di ciò potrebbe essere spiegata in molteplici modi, anche se la spiegazione più convincente, a parere di chi scrive, appare essere un mix tra potenziale maggiore volatilità (seppure con un trend in miglioramento) nell’andamento macroeconomico e maggiore offerta di titoli a medio-lungo termine che il mercato dovrà assorbire (vuoi per il mantenimento di deficit fiscali importanti, vuoi per un incremento della percentuale di funding effettuata tramite emissioni a medio-lungo).
Anche analizzando il c.d. “term premium”, ovvero quel tasso extra chiesto dagli investitori per investire su un titolo con rischio di tasso (quindi con una scadenza superiore al brevissimo termine) rispetto al tasso medio atteso sui tassi di politica monetaria, si osserva un incremento dello stesso, peraltro di entità simile a quella del rialzo sui tassi nominali decennali. Tale movimento è sintomatico di come gli investitori stiano ora chiedendo una maggiore compensazione per assorbire il rischio tasso, a causa appunto di un possibile aumento della volatilità sui tassi o di un potenziale incremento dell’offerta di carta da assorbire (grafico term premium).

QUALI SONO STATI GLI EVENTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELL’ULTIMO PERIODO?
Banche centrali protagoniste nell’ultimo periodo: quella giapponese ha alzato i tassi di 25 punti base portandoli allo 0,50%, quella europea li ha tagliati di 25 punti base portando quelli sui depositi al 2,75%, quelli sulle aste ordinarie al 2,90% e quelli sulle aste marginali al 3,15%, mentre la banca centrale americana li ha lasciati invariati nel range 4,25%-4,50% (affermando come crescita e mercato del lavoro rimangano solidi ma l’inflazione permanga a livelli elevati).
In effetti, anche la pubblicazione dei dati macroeconomici e degli utili aziendali per il quarto trimestre 2024 hanno mostrato una buona crescita per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America, mentre appare decisamente più fiacca l’attività nelle altre aree geografiche, specialmente in Europa.
Positivo, sul fronte geopolitico, l’affievolimento delle tensioni in medio-oriente con il cessate il fuoco nella striscia di Gaza.
QUAL È LA CONDIZIONE DI SALUTE DELL’ECONOMIA GLOBALE?
Se la risposta a questa domanda dovesse essere telegrafica, si potrebbe dire semplicemente “tutto a posto”. In effetti, al momento la crescita economica sta proseguendo generalmente ad un ritmo discreto, supportata da un mercato del lavoro che continua a mostrarsi resiliente (grafico disoccupazione) e da un tessuto industriale ed economico tutto sommato in salute.

Tuttavia, i livelli inflazionistici continuano a rimanere generalmente maggiori di quelli a cui ambiscono le principali banche centrali (grafico inflazione) ed aleggia chiaramente, sia sul fronte economico che su quello dei mercati finanziari, lo spauracchio della politica protezionistica che Donald Trump potrebbe attuare tramite l’introduzione di dazi, che andrebbero a danneggiare particolarmente, più che la Cina, l’area euro, il Canada ed il Messico.

In tale contesto, è lecito attendersi una banca centrale americana guardinga, con invece una BCE che potrebbe agire con maggiore nonchalance nel processo di riduzione dei tassi ampliando il differenziale tra le due aree economiche; tutto questo sarebbe sicuramente positivo per il dollaro.
QUALI SARANNO GLI EVENTI DA MONITORARE NEL PROSSIMO PERIODO?
Il mese di febbraio non vedrà decisioni delle principali banche centrali e pertanto tutta l’attenzione sarà rivolta a ciò che sarà annunciato e messo in atto dalla nuova amministrazione americana.
Dall’altro canto, le antenne degli investitori saranno altresì rivolte al carpire bene gli effetti che l’ingresso sul mercato dell’intelligenza artificiale sviluppata dalla cinese DeepSeek avrà su tutto il settore tecnologico e sul mercato nel suo complesso, che sappiamo bene quanto abbia beneficiato negli ultimi due anni dell’hype sul tema dell’intelligenza artificiale.
Sebbene le tensioni geopolitiche, soprattutto in medio-oriente, abbiano visto un graduale ridimensionamento nell’ultimo periodo, l’attenzione rimarrà elevata anche su questo fronte.
COSA CI DICONO LE VALUTAZIONI ATTUALI DEI MERCATI FINANZIARI E COSA È LECITO ATTENDERSI NEL MEDIO PERIODO?
Come sempre risulta importante dare uno sguardo alle valutazioni delle principali categorie di investimento, in quanto nel medio-lungo periodo la performance dei mercati è fortemente correlata alle valutazioni presenti al momento dell’investimento (più basse sono le valutazioni più elevato è il rendimento prospettico e viceversa).

La tabella valutazioni ci mostra livelli elevatissimi sulle classi di investimento più volatili (siamo alle peggiori valutazioni degli ultimi 10 anni!). È abbastanza indubbio che i rendimenti attesi per il futuro, soprattutto sull’azionario e sul mercato obbligazionario con maggiore rischio di credito, difficilmente potranno essere entusiasmanti.
Per quanto riguarda invece il mercato obbligazionario investment grade, sebbene i livelli siano ormai sopra alla mediana di lungo periodo, non vi sono ancora sintomi di eccessiva esuberanza.
In effetti, la valutazione relativa tra azionario ed obbligazionario, utilizzando come metrica arbitraria il differenziale tra il rapporto utile/prezzi per il mercato azionario e tasso di rendimento per quello obbligazionario, ha raggiunto in certi casi i livelli peggiori (azionario più caro rispetto all’obbligazionario) dal periodo precedente allo scoppio della bolla tecnologica dei primi anni 2000 (grafico valore relativo).

COME ANDRANNO QUINDI GESTITI I PORTAFOGLI NEL PROSSIMO PERIODO?
I livelli di volatilità implicita, sia sull’azionario che sull’obbligazionario sono decisamente bassi (grafico volatilità), soprattutto in considerazione delle tante incertezze che la nuova amministrazione americana comporta.

Ora, la ragione potrebbe essere duplice: o i mercati non stanno scontando a sufficienza ciò che – nel bene o nel male – potrebbe succedere nel prossimo periodo, oppure l’incertezza è talmente elevata che gli operatori non hanno appetito per prendere posizione, né al rialzo né al ribasso. La verità probabilmente, come spesso accade, sta nel mezzo.
In un contesto del genere, caratterizzato appunto da incertezza ma volatilità implicita contenuta, unitamente a valutazioni non a buon mercato sui mercati azionari ed un livello dei tassi di interesse che permette di assorbire in maniera non troppo dolorosa (a livello di prezzo delle obbligazioni) eventuali ulteriori rialzi nei tassi, il suggerimento è quello di focalizzarsi su soluzioni con elevata convessità (acquisto di downside protection sull’equity ed acquisto di duration sul reddito fisso).
Considerato il tutto a 360 gradi, per il prossimo periodo in dettaglio si consiglia quindi di:
1 – Mantenere l’esposizione all’azionario nella parte bassa del range stabilito in sede di asset allocation strategica;
2 – Mantenere l’esposizione all’obbligazionario con rischio di credito sotto al peso stabilito in sede di asset allocation strategica;
3 – Aumentare l’esposizione all’obbligazionario privo di rischio di credito portandola leggermente sopra a quanto stabilito in sede di asset allocation strategica.
Come già scritto in diversi frangenti durante lo scorso anno, fortunatamente ci troviamo in una condizione nella quale la liquidità non investita rende comunque un tasso di interesse non disdicevole e pertanto appare saggio evitare di farci prendere dalla “fear of missing out” (paura di rimanere fuori).