Ebbene sì, il 2024 è già terminato e siamo di fronte ad un nuovo anno pieno di incertezze ed insidie. L’anno appena conclusosi, come era stato un po’ anche per quello precedente, si è rivelato tutto sommato abbastanza semplice per gli investitori, che hanno potuto godere di performance decisamente buone sui mercati azionari e performance in ripresa sui mercati obbligazionari, grazie ad una situazione di partenza che, dopo il difficile 2022, mostrava valutazioni discrete.
In effetti, sebbene il mese di dicembre – complice l’atteggiamento più restrittivo di quanto previsto mostrato dalla banca centrale americana – abbia visto un incremento della volatilità con conseguente performance negative un po’ su tutte le principali classi di investimento, il 2024 si è chiuso con performance talmente buone che, se qualcuno ci desse la possibilità ex-ante di vederci garantita la performance del 2024 anche per il 2025, accetteremmo sicuramente la proposta senza battere ciglio (Tabella performance).
Siamo quindi giunti in quel periodo durante il quale banche di investimento, gestori di patrimoni e società operanti in ambito finanziario – dalle più grandi e strutturate a quelle più piccole ed artigianali – si dilettano cercando di mettere nero su bianco quelle che sono le aspettative e le attese per quanto riguarda lo scenario macroeconomico ma soprattutto per ciò che concerne l’andamento dei mercati finanziari nell’anno successivo. Come chi ci segue sa bene, chi scrive è totalmente consapevole che, su un orizzonte temporale di 12 mesi, sul quale ci apprestiamo a fare le nostre previsioni, accadrà sicuramente qualcosa, di più o meno imprevedibile, che spariglierà le carte e farà sembrare anche molto stupide le previsioni fatte solo pochi mesi prima!
Gli ultimi anni in effetti ci hanno insegnato molto in tal senso, avendo inanellato in sequenza una pandemia sanitaria a livello mondiale, due guerre ai confini con l’Europa ed il passaggio dall’aberrazione dei tassi negativi ad un contesto di rialzo dei tassi di interesse tra i più rapidi di sempre, situazione questa che ha causato una seppur breve crisi del settore bancario sia negli USA che in Svizzera.
Come non dimenticarsi inoltre delle previsioni di imminente entrata in recessione economica susseguitesi a partire dal 2022? Sappiamo bene invece come l’economia abbia mostrato una resilienza difficilmente ipotizzabile. Potrebbe a questo punto sembrare assolutamente inutile cercare di fare previsioni su economia e mercati finanziari su un orizzonte temporale così breve come un anno e se così fosse potremmo risparmiare tanto tempo e lavoro, ma la risposta non è invece così semplice e scontata.
Come spesso accade, come in tanti ambiti della vita, anche qua non è tutto bianco o tutto nero ma bensì una sfumatura di grigio. In effetti, dipende molto cosa reputiamo utile e cosa no.
Le previsioni sul nuovo anno sono utili se il nostro obiettivo è quello di selezionare lo strumento finanziario che performerà meglio? Di certo no.
Le previsioni sul nuovo anno sono utili se il nostro obiettivo è quello di sapere in anticipo ciò che di sicuro accadrà sul fronte macroeconomico o addirittura geopolitico? Di certo no.
Le previsioni sul nuovo anno sono utili se l’obiettivo è quello di mettere a terra quelli che sono gli scenari maggiormente probabili ma, soprattutto, farsi anche una idea di quelli che potrebbero essere gli scenari, magari poco probabili, ma comunque plausibili e di conseguenza costruire un’asset allocation di portafoglio su basi probabilistiche? Di certo si!
Quindi, come sempre, non esiste una risposta univoca ad una apparentemente semplice domanda. Quello che è certo, è che la prassi di pubblicare le proprie previsioni per l’anno a venire è destinata a continuare ed anzi a diventare appannaggio di sempre più attori. Anche Banca di San Marino continuerà con orgoglio a fare la propria parte!
QUALI SONO LE PROSPETTIVE PER IL 2025 SUL FRONTE MACROECONOMICO?
La crescita economica mondiale (grafico crescita economica), dopo avere mostrato una marcata resilienza nel 2023 e nel 2024, nello scenario di base dovrebbe mantenere un andamento positivo anche nel 2025, sebbene in leggero calo rispetto ai livelli di crescita del 2024, palesando comunque divergenze importanti tra le varie aree geografiche.
A supportare la crescita, tra le altre cose, l’aumento reale dei redditi delle persone fisiche, che si manterrà in territorio positivo.
La nomina di Donald Trump come quarantasettesimo Presidente degli USA, con lo slogan di “America first”, comporterà una maggiore volatilità macro, che si espanderà di conseguenza alle attività finanziarie.
In tale contesto, l’area sicuramente più debole – vuoi anche per i due conflitti che si stanno combattendo alle sue porte – appare l’Europa, che dovrà obbligatoriamente ritrovare una propria unità di intenti, pena un’ulteriore frammentazione interna e debolezza strutturale.
Se si esclude lo scenario di coda di una “trade war” globale, anche i livelli inflativi, sebbene ad un ritmo che continuerà ad essere altalenante e non a senso unico, continueranno a diminuire, permettendo così alle banche centrali di continuare il processo graduale di allentamento monetario, che contribuirà appunto al mantenimento di livelli di crescita positivi.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, che ormai sappiamo essere un’area estremamente eterogenea, nel complesso non si notano particolari fattori di estrema debolezza, sebbene la Cina appaia ancora frastornata e con difficoltà strutturali (vedasi il settore immobiliare) amplificatesi dopo il periodo della pandemia. Conseguentemente spetterà alle autorità centrali, magari stimolate positivamente dall’aggressività della nuova amministrazione americana, spronare i consumi interni fornendo altresì degli aiuti mirati al settore immobiliare.
I rischi, a livello generale, rimangono comunque al ribasso e di difficile stima. L’andamento economico – oltre ad essere guidato da fattori geopolitici di impossibile previsione in Russia, in Medio-Oriente e nell’area di Taiwan continuerà in larga parte ad essere fortemente influenzato dall’andamento dell’inflazione. Se infatti l’inflazione, magari anche per fattori esogeni come un aumento del costo dell’energia o per fattori commerciali come la temuta introduzione di forti dazi sulle importazioni da parte degli USA, non dovesse continuare nel trend di graduale discesa iniziato ormai da quasi due anni, le banche centrali si troverebbero con le mani legate e costrette ad interrompere le loro azioni espansive e magari ad introdurne di restrittive; in un contesto del genere, un’economia globale che rimane fortemente indebitata e che appare ancora sfibrata dal periodo pandemico e post-pandemico (vedasi a tal proposito l’enorme perdita di consenso di sostanzialmente tutti i partiti che hanno governato nel periodo di aumento inflativo) soffrirebbe particolarmente e la recessione sarebbe scontata.
I livelli di inflazione (grafico inflazione), nello scenario di base ed in assenza quindi di stress esogeni, dovrebbero continuare a scendere gradualmente verso gli obiettivi perseguiti dalle banche centrali. A contribuire in tal senso sarà probabilmente la diminuzione della domanda aggregata. Tuttavia, non sono da escludere recrudescenze nell’andamento dei prezzi, specialmente a causa di fattori esogeni ed anche della fase, tutt’ora in corso, di parziale “de-globalizzazione”.
Sul fronte della politica monetaria, come già anticipato, nello scenario di base le principali banche centrali saranno in grado di continuare nel graduale processo di normalizzazione della politica monetaria, con l’obiettivo di portare i tassi in linea a quelli neutrali. Tuttavia, specialmente in considerazione della volatilità macro e finanziaria che sicuramente aumenterà sotto la nuova amministrazione americana, il processo non potrà essere lineare e pertanto gli approcci saranno decisamente “data dependent”, il che non ci permette di escludere anche lunghi momenti di pausa nel processo e perché no, se appunto i dati lo richiederanno, anche un’inversione di marcia.
Molto probabilmente si allargherà il divario tra i tassi di policy di USA ed eurozona, con quest’ultima palesemente più bisognosa di stimoli rispetto alla prima.
Discorso un po’ diverso, invece, per la banca centrale giapponese, l’unica delle principali ad essere andata in controtendenza e che verosimilmente continuerà nel processo di iper-graduale restringimento della propria politica monetaria.
COSA CI SI ATTENDE INVECE SUI MERCATI FINANZIARI
Ci addentriamo nel nuovo anno con una situazione di partenza sicuramente peggiore di quella presente ad inizio 2024. Infatti, abbiamo valutazioni più care sui mercati azionari, spreads di credito più stretti e tassi di interesse, sulla parte a breve delle curve, generalmente più bassi.
Il 2025 non sarà pertanto un anno facile e pertanto, sebbene il contesto macroeconomico e di politica monetaria appaia tutto sommato benevolo, ci aspettiamo un andamento maggiormente volatile rispetto a quello degli ultimi due anni.
Ancora buono, fortunatamente, il carry ottenibile da investimenti obbligazionari con bassa duration e basso rischio di credito.
I mercati azionari dei paesi sviluppati, nel 2025, difficilmente potranno contare su un’ulteriore espansione dei multipli e pertanto la performance sarà guidata principalmente dall’andamento degli utili aziendali.
Ci aspettiamo tuttavia una parziale decompressione del differenziale di performance tra America e resto del mondo, con i mercati emergenti che rimangono alquanto a buon mercato.
Per quanto riguarda i settori industriali, il 2025 potrebbe essere un anno di “rivendicazione” da parte dei settori più difensivi, locali e che trattano a valutazioni meno care rispetto a quelli a “maggiore hype” come il settore tecnologico e tutti i titoli legati in qualche modo al settore dell’intelligenza artificiale.
Vediamo comunque un andamento maggiormente volatile rispetto a quello del 2024 (questa è l’unica costanza quando si parla di azionario) e non sono comunque probabili performance positive a due cifre.
A livello geografico, per il 2025, visto lo sconto a cui trattano ed anche alle aspettative della street generalmente fosche sulla Cina (che potrebbero essere lette in ottica contrarian), continuano ad apparire interessanti i listini dei mercati emergenti nel loro aggregato, sebbene vada appunto sempre tenuto in considerazione che investire sui mercati in via di sviluppo in maniera agnostica significa avere una elevata esposizione all’andamento del listino Cinese, con tutto ciò che ne consegue in termini di incertezza.
Le obbligazioni governative dei principali paesi sviluppati trattano ancora, nonostante la riduzione dei tassi di interesse registrata nell’ultimo anno sulla parte a breve della curva, a livelli di rendimento non disdicevoli e, con un’inflazione che è rientrata gradualmente a livelli più vicini ai target perseguiti dalle principali banche centrali, mostrano livelli di rendimento reale in aumento e positivi negli USA (grafico rendimenti reali).
Le stesse, anche per il 2025, continueranno a fornire un livello di carry decente. Sebbene la probabilità che le principali banche centrali continueranno nel processo di riduzione dei tassi di politica monetaria appaia elevata, il rischio al momento appare che il mercato potrebbe scontare mosse eccessive.
Tuttavia, indipendentemente da come si muoveranno i tassi di interesse, l’asset class, partendo dai livelli di tassi attuali, continuerà ad essere in grado di fornire un andamento decorrelato all’andamento degli attivi più volatili.
In considerazione dei livelli di rendimento di partenza e dell’attuale e prospettico contesto macroeconomico, è sicuramente lecito attendersi una performance positiva per l’asset class obbligazionaria governativa.
Ad ogni modo, in considerazione delle aspettative di steepening, la parte più interessante della curva rimane quella a breve ed a medio termine. Infatti, salvo situazioni particolari di stress o deterioramenti della situazione macroeconomica, non crediamo vi sia particolare spazio di discesa per i tassi sui tratti più a lungo termine delle curve.
Gli spread sul mercato del credito dopo il restringimento dell’ultimo periodo trattano a livelli sotto alla media di lungo periodo e pertanto un’ulteriore compressione appare poco probabile (grafici credit spreads 1 e 2). A livello complessivo, quindi, sarà il carry a dettare la performance 2025 dell’asset class ed in tal senso l’all-in yield non appare ancora disdicevole.
Nel 2025 la selettività la farà da padrone e, sebbene a livello generale non si noti particolare valore sul credito, vi sono sicuramente delle sacche di valore da potere estrapolare, prevalentemente sul credito dei mercati emergenti.
A livello di punti della curva da prediligere, vediamo ancora maggiore valore sulla parte a breve.
Sebbene il livello degli spread desti qualche preoccupazione (rendendo probabili allargamenti degli spread qualora il contesto macro dovesse deteriorarsi), il mondo corporate mostra ancora nel complesso una buona salute, forte del fatto che è riuscito negli scorsi anni ad allungare le durate dei finanziamenti, facendolo a costi molto bassi.
A livello di merito di credito, sul segmento Investment Grade saranno da prediligere rating nell’intervallo mediano, mentre su quello high yield meglio il bucket BB rispetto alle B ed inferiori.
Per quanto riguarda invece le materie prime, potranno performare bene solamente in caso di spike inflazionistici (magari causati da politiche economiche iper-protezionistiche da parte dell’America) o da un aumento considerevole delle tensioni geopolitiche. Non siamo particolarmente positivi sull’asset class, che potrà però essere utilizzata come “hedging” rispetto ad eventi particolarmente avversi.
L’oro, dopo la brillantissima performance degli ultimi periodi, ci pare decisamente sopravvalutato rispetto ai fondamentali (grafico fair value oro). Tuttavia, non va dimenticato come, dopo la confisca degli assets in USD effettuata alla Russia, il metallo giallo è stato sostenuto dagli acquisti delle banche centrali “non allineate al mondo occidentale”, Cina in primis, fattore questo da tenere comunque in considerazione.
Il Dollaro Americano è rimasto ben sostenuto durante il 2024, prendendo forte slancio dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane e sulle aspettative di un allargamento del differenziale tra i tassi americani e quelli europei. Il miglioramento della bilancia commerciale della zona euro non è riuscito a compensare tali fattori.
Per quanto riguarda il nuovo anno, il dollaro appare ancora sopravvalutato rispetto all’Euro guardando sia ai fondamentali che il differenziale tassi. In effetti, un po’ tutte le metriche considerate ci permettono di affermare che appare verosimile aspettarsi un andamento debole del dollaro americano rispetto all’euro durante il 2025.
Inoltre, così come è stato per il 2023 e per il 2024, non va dimenticato che anche la liquidità è ora in grado di offrire quel porto sicuro per cui viene solitamente inserita nei portafogli, dando un rendimento nominale positivo.
In ordine di preferenza, prendendo come riferimento 5 delle principali categorie di investimento, per il 2024 abbiamo:
1 – Obbligazionario governativo;
2 – Liquidità;
3 – Azionario;
4 – Obbligazionario a Spread;
5 – Materie Prime.
Come scriviamo da sempre, fare previsioni risulta sempre particolarmente difficile, ma su una cosa siamo molto più confidenti: la volatilità. Infatti, gli ultimi anni hanno ben dimostrato come l’andamento di mercato sia ormai da tempo caratterizzato da lunghi momenti di calma intervallati ad altri di elevatissima volatilità. Rimane quindi fondamentale non farsi prendere troppo la mano durante le fasi di tranquillità e cercare invece di sfruttare le oscillazioni negative.
Il mantra è un po’ sempre il solito: restare umili senza pretendere di volere prevedere i movimenti di mercato nel breve periodo (cosa impossibile da fare con attendibilità statistica significativa) e mantenere dei portafogli robusti composti da classi di investimento che si rivelino decorrelate tra loro soprattutto nelle fasi di avversione al rischio.