Nella parola “faldedi” l’accento va sulla vocale e, “faldèdi” quindi. Checco Guidi non lo dice apertamente ma basta ascoltarlo mentre pronuncia il titolo della sua ultima fatica, “Sli faldedi del non”, stampato presso Pazzini Stampatore Editore di Verucchio e presentato ai Capitani Reggenti l’8 novembre.
La vera novità – la prima e non l’unica – si svela a pagina 11: prima difatti trovano posto e spazio la “scheda” dell’Associazione “Amici di Padre Marcellino” (parte del ricavato della vendita del libro è destinata in beneficenza proprio a lei), una profonda prefazione della professoressa Meris Monti, la premessa e una poesia in dialetto dello stesso Checco Guidi, “Beata infanzia”.
Come detto, a pagina 11 si apre un “nuovo mondo”, che poi in realtà è nuovo solo in parte: la lingua italiana. “Il titolo è sì in vernacolare sammarinese ma le favole e i racconti d’infanzia che ho scritto sono in italiano. Ho iniziato a raccogliere i testi quattro o cinque anni fa, senza fretta” racconta lo scrittore e poeta del Titano. Ho immaginato un nonno seduto sulle scale che racconta una serie di storie – 37 in tutto – ai nipoti: un ‘quadro’, un’immagine che mi ha riportato indietro nel tempo quando la sera ci si raccoglieva, noi ragazzini, attorno a un anziano, un nonno, per ascoltare qualche favola”.
Checco non lo dice in maniera esplicita se in nonno del libro è lui ma è facile immaginarlo: sua nipote Nicole Mina ha impreziosito la pubblicazione con una serie di acquerelli. “La prima favola si intitola ‘Il bagno nel mastello’ dove il mastello è in legno. Si prendeva l’acqua, la si metteva in una tinozza o mastello, la si faceva riscaldare al sole per sei o sette ore e poi si lavavano i bambini. Quello che racconto si chiama Tonino” spiega Checco che poi fa un passo indietro: “Scriverlo in dialetto sarebbe stato difficile, forse impossibile. Con l’italiano si può raggiungere una platea di ampia”.
Trentasette storie quindi, da leggere o da far leggere. “Alcuni racconti li ho ascoltati e trascritti, altri li ho creati io, altri invece partono da un’altra forma, quella poetica, e poi sono diventati favole. L’idea iniziale, che poi è diventata la finalità, è quella di far trovare un momento per far riunire e incontrare due generazioni, quelle dei nipoti e quelle dei nonni. Sono piccoli scritti che riguardano la vita del nostro paese, alla nostra campagna, e che parlano anche di saggezza popolare”. Storie d’altri tempi ma ancora attuali, fresche. Come le uova appena raccolte. E proprio alle uova, Checco ha dedicato un racconto: “La storia di Pul e Cino”, due gemelli nati nello stesso uovo. “Le azdore raccoglievano le uova per fare la sfoglia e ogni tanto capitava di trovare due tuorli oppure due pulcini. I due che ho portato nel libro stanno ‘stretti’ nella loro casa e vogliono uscire”.
Il volume, circa 130 pagine, raccogli e racconta anche di un barbiere, Agostino detto “Tino”, di “Pina la talpa vanitosa” che si innamora di un topo, de “La vecchia soffitta” da dove i bambini immaginano un mondo di quadri, fotografie e ricordi, e de “Il grande concerto” in cui un usignolo, tante lucciole invidiose (ma solo all’inizio), i grilli e le rane diventano un’orchestra affiatata.