Donald Trump ha vinto le elezioni. I sondaggi non erano riusciti a prevedere uno scarto così evidente con il candidato democratico Kamala Harris, il mercato sì.
Non a caso l’indice Vix nel mese di ottobre e rimasto in media sopra 20, dopo le elezioni la volatilità si è immediatamente e significativamente ridotta, con lo stesso indice sceso sotto la soglia di 20. Wall street ha festeggiato la vittoria di The Donald con un +2%, battendo nuovi record.
La curva dei Treasury si è innalzata in un movimento di “steepening”, con il rendimento a 10 y in aumento di +25 bps, atterrando intorno al 4,45%.
Il dollaro si è apprezzato contro tutte le valute, con un calo dell’euro del 1,8% per effetto delle aspettative di differenziale dei tassi a favore del treasury.
Il resto del mondo è sembrato reagire in modo meno forte. Il mercato azionario cinese scende di circa il 3%, mentre il mercato europeo segue parzialmente il rialzo americano, guidato dai settori più ciclici, dalle banche e dal ribasso dei tassi di interesse.
Il movimento sui tassi europei (con il tasso decennale tedesco che scende di 5 punti base, e uno spread di +20 punti base rispetto ai Treasury) esprime chiaramente una certa preoccupazione per l’economia europea. Italia e Germania con i loro surplus commerciali potrebbero essere facilmente oggetto dei dazi paventati in campagna elettorale.
Le criptovalute, in particolare Bitcoin salgono vertiginosamente (+7,5%), mentre l’oro rimane leggermente debole (-0,7%). L’oro vede venire meno alcuni driver che ne hanno sostenuto la corsa (i tassi in discesa, il dollaro ritenuto in via di indebolimento, le tensioni geopolitiche particolarmente acute, la diffidenza dei cinesi verso la loro borsa e il loro mercato immobiliare) ma non per questo è pronto a un’inversione di tendenza e a nostro avviso resta un asset interessante.
La Federal Reserve, all’indomani dell’esito delle elezioni americane, come previsto, ha tagliato i tassi di interesse di 25 bps. La decisione ha portato il costo del denaro negli Stati Uniti al 4,50%-4,75%, dopo una più aggressiva riduzione di 50 punti base a settembre.
Difficile immaginare che nel breve periodo, ovvero per il 2025, le politiche fiscali di Trump possano modificare significativamente lo scenario di base che per noi è di un soft landing per l’economi USA.
Di fatto le politiche pro-crescita e anti-tasse promesse da Trump (riduzione delle tasse, deregulation, dazi, lotta all’immigrazione e alle politiche green,) sono favorevoli al mercato azionario americano (meno per il resto del mondo), anche se deve essere considerata una certa correlazione tra i mercati globali.
Considerati i vincoli di bilancio dell’amministrazione USA, con un deficit annuo del 7-8% e un conto delle partite correnti che registra un deficit (annuo) del 2-3% il deficit complessivo annuo è pari al 10-11%, gli spazi di utilizzo della leva del debito non sono molti per il nuovo presidente. Inoltre, tutti questi dollari in circolazione ogni anno generano inflazione e il debasement della valuta inizia ad essere un problema, ma il vero tema è che vi è poca possibilità di diversificare dal dollaro.
Lo stesso Trump ha promesso la fine dell’inflazione e il taglio della spesa pubblica.
Ma Trump deve affrontate un vincolo di bilancio e per mantenere un buon livello di crescita e non riaccendere l’inflazione è necessario alzare la produttività. In questo quadro, l’intelligenza artificiale verrà sostenuta.
I dazi porterebbero inflazione, ma anche crescita interna.
La riduzione dell’immigrazione potrebbe portare a una maggiore inflazione salariale, ma anche a una minore pressione sui prezzi delle case.
Con i dazi Trump intende riportare in America una parte di quello che viene oggi prodotto nel resto del mondo. Vista così, è una misura a somma zero per il mondo nel suo complesso. Ma per reazione il resto del mondo svaluterà rispetto al dollaro e abbasserà i tassi più aggressivamente. Alla fine, quindi, l’effetto globale sulla crescita sarà a somma positiva.
Ci sarà poi, in Cina e in Europa, una riconsiderazione delle politiche fiscali e industriali. La Cina, in attesa del grande negoziato con l’America, introdurrà nuovi stimoli. L’Europa invece, speriamo, riconsidererà le politiche anti-crescita in campo energetico e fermerà il processo di autodistruzione di settori industriali come l’auto. Al riguardo, come auspicato da Mario Draghi, ci auguriamo che “l’UE negozi con Trump con “spirito unitario”.
In questo quadro, uno dei segnali che monitoriamo con attenzione, e che conferma il cambiamento di contesto in atto, è la pendenza della curva dei rendimenti USA. Al riguardo, dopo la (dis)inversione della curva tra il nodo 2y e il nodo 20y, va segnalata la (dis)inversione tra il nodo 2y e il nodo 10y. La proxy più precisa della (dis)inversione è certamente il differenziale tra i nodi 3m Vs 10y e da un punto di vista empirico le recessioni arrivano non al momento dell’inversione ma quando le curve iniziano a irripidirsi, pertanto potremmo essere vicini ad un ingresso in recessione, sebbene in questo caso ci sono una serie di elementi che possono cambiare le carte in tavola e, come detto, immaginiamo un soft landing USA.
Nonostante un disavanzo fiscale elevato con una crescita del PIL del 3%, qualora la crescita dovesse rallentare, il disavanzo non potrà che diventare ancora più alto. Se la parte lunga della curva dovesse superare un certo livello di rendimento, mettiamo il 5 per cento, allora devono contrarsi i multipli azionari (oggi molto elevati).
Nel brevissimo periodo, (4 mesi) rimaniamo positivi sul mercato azionario americano, ma crediamo che sia importante esplorare anche la possibilità di un cambio di leadership settoriale a favore dei titoli ciclici che già scontano una recessione, (utilites e titoli value); in quest’ottica ci piacciono anche i mercati emergenti.
Sulle obbligazioni preferiamo gli investment grade con scadenza breve con un progressivo incremento della duration per aumentare la reattività del portafoglio.
Proponiamo di incrementare la liquidità sui portafogli finalizzata a cogliere successive opportunità sui ribassi del mercato.
L’oro a nostro avviso rimane un asset interessante, considerando anche le crescenti preoccupazioni sul deficit fiscale degli Stati Uniti, la copertura contro il rischio geopolitico latente e la diversificazione delle riserve da parte delle banche centrali asiatiche.
Come macro trade continuiamo a suggerire posizioni a copertura della volatilità, steepener curva USA (aperto al cambio) e yen.
Cristian Ceccoli – Direttore Generale NT Capital SG S.p.A.
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